venerdì 25 febbraio 2011

Alzati e Corri - La vigilia

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo La vigilia

Fu una settimana decisamente adrenalinica; il pensiero era costantemente rivolto a questa nuova sfida, certamente azzardata rispetto alle mie capacità atletiche. Mi sentivo come uno che con un po’ di leggerezza avesse accettato di giocare alla roulette russa, per poi realizzare tutte le possibili implicazioni negative della sua scelta.
    
Passai le mie sere a studiare il percorso e le notti a visualizzarlo nei miei sogni: mi sembrava di conoscerne ogni metro, come un veterano che l’avesse già corsa decine di volte. Avevo mentalmente diviso l’intera distanza di 21.097 metri in quattro segmenti, delimitati dai tre ristori, il primo, dopo 5650 metri, il secondo, dopo 11.100 metri, il terzo, dopo 16.500 metri. Avevo deciso che mi sarei concentrato sempre sul ristoro successivo, come se la mia corsa finisse lì. Mi ero anche convinto che il vero sforzo per me fosse quello di raggiungere l’ultimo ristoro, quello del 16’ km, perché a quel punto niente e nessuno avrebbe potuto più fermarmi, avrei raggiunto il traguardo anche a a costo di “strisciare sui gomiti”.
   
Avevo poi sezionato ogni metro della salita più ardua della Roma-Ostia, la "salita del camping", una salita dalle dolci pendenze, ma sufficientemente lunga da “tagliare” la gambe a coloro che l’affrontano senza rispetto.  La fine di questa salita coincideva con la metà del percorso e passare in buone condizioni questo “punto critico” mi avrebbe permesso di porre un’ipoteca sul risultato finale.
  
In quella settimana avrò corso mentalmente la Roma-Ostia numerose volte, e anche quando “sgambettavo” nel Parco delle Sabine, mi sembrava di essere circondato dai gli alti pini, che dominano la Cristoforo Colombo. 
 
Il venerdì arrivai trepidante al villaggio della Roma-Ostia, dove avrei vissuto la ritualità collegata al ritiro del pettorale e del pacco gara, in un contesto che ti faceva percepire tutto il “valore” di questa gara. Avevo offerto la mia collaborazione alla Podistica Solidarietà come presenza al desk dedicato agli atleti orange. Il pomeriggio passato al desk mi permise di approfondire la conoscenza di molti personaggi che animano le attività di questa società, ma soprattutto mi diede l'opportunità di "respirare il clima" della Roma-Ostia: una vera e propria full-immersion. La sera a casa, mentre osservavo affascinato il pettorale numero 9154, il mio numero, ripensai a tutti i frammenti di discorsi “tecnici” catturati al desk e cercai di trarne il maggiore vantaggio possibile.
   
Era però intervenuto un elemento di disturbo inatteso: il pullman. Avevo infatti prenotato un posto in uno dei pullman organizzati dalla Podistica Solidarietà per riportare i propri atleti a Roma alla fine della gara. Era la soluzione tecnicamente più praticabile e avevo prenotato il mio posto senza pensarci più di tanto. Solo successivamente avevo realizzato che i pullman erano chiaramente “costretti” ad aspettare l’arrivo di tutti gli atleti prima di riprendere la via di Roma. In quel momento si materializzò nella mia mente un’immagine terribile: il pullman pieno, con i motori accesi, le faccia spazientita dell’autista e io, l’ultimo atleta, che salivo e raggiungevo l'unico posto libero, seguito nel mio movimento dagli sguardi torvi di tutti i presenti. Quell’immagine angosciante cominciò a turbare le mie notti, aumentando la mia agitazione complessiva. 
    
In ogni caso, il tempo delle riflessioni era finito, la Roma-Ostia era diventata ormai una sfida reale e non più immaginaria. Preparai tutto il necessario, controllando ogni dettaglio più volte, in preda alla classica sindrome del “gas chiuso”. Andai a letto nella consapevolezza che sarebbe stato difficile dormire: l’adrenalina scorreva a fiumi e i pensieri si alternavano vorticosamente nel mio cervello. E su tutti i pensieri prevaleva sempre l’incubo del pullman.
     
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