martedì 25 gennaio 2011

Alzati e Corri - La motivazione

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Approfondimento: La motivazione
di Lorenzo Bianchi - Psicologo
    
È ormai ampiamente dimostrato che lo sport, se praticato senza eccessi e con regolarità, può alleviare i sintomi di ansia e stress, migliorare le sensazioni di autoefficacia ed accrescere la fiducia in se stessi. Anche se questa convinzione è comune a tutti, molti di noi non riescono a mettere in atto i buoni proposti riguardo l’esercizio fisico. Come mai?
 
La risposta indubbiamente, almeno per l’impulso iniziale, risiede nella motivazione.
 
Per spiegare cosa sia la motivazione esistono molteplici definizioni, ma quella che maggiormente si addice al contesto dello sport riguarda la spinta che ha un individuo ad intraprendere un determinato percorso per raggiungere una data meta. Anche se i motivi che spingono ad iniziare un’attività fisica sono tanti e differenti, questi, seppur importanti non bastano, da soli, a mantenere i progressi nel tempo.
 
Il successo, nel senso di riuscita, in un’attività sportiva è influenzato da alcuni aspetti determinanti; decidiamo di affrontare un impegno sportivo se riteniamo che i benefici che ne trarremo successivamente sono utili e rilevanti per noi stessi, e soprattutto se saremo fermamente convinti che la capacità di raggiungere un obiettivo prefissato dipenda soltanto da noi. In poche parole, la disponibilità a sacrificare il nostro tempo libero per praticare uno sport deve essere “ripagata” da un saldo positivo tra costi e benefici, altrimenti prevarrà la demotivazione con il conseguente abbandono di quanto precedentemente iniziato.
 
Tutte le volte che prevarrà la paura di fallire e la credenza di non poter essere protagonisti di un cambiamento, bensì soltanto spettatori, aumenterà la nostra percezione di essere incapaci e di sentirci giudicati dalle persone che ci circondano.
 
Nell’ambito della psicologia dello sport, tre studiosi, Murray, McClelland ed Atkinson, hanno elaborato un modello secondo cui la motivazione si differenzia in: motivazione alla riuscita e motivazione ad evitare l’insuccesso.
 
La motivazione alla riuscita deriva dall’interazione di tre fattori diversi:
  • la forza dell’orientamento individuale al successo;
  • la probabilità percepita di avere successo;
  • il valore incentivante del successo.
Questo sentirsi maggiormente capaci e fiduciosi nelle proprie possibilità è stato sintetizzato dal concetto di autoefficacia di Albert Bandura. Secondo lo psicologo canadese, le persone con un forte senso di autoefficacia: 
  • vedono i problemi impegnativi come azioni su cui esercitare la propria padronanza;
  • sviluppano un interesse profondo nelle attività a cui partecipano;
  • sviluppano un forte senso d’impegno nei  loro interessi ed attività;
  • recuperano rapidamente dalle battute d'arresto e dalle delusioni.
Tutto ciò si esprime con lo sport, ma lo sperimentiamo in tutti gli ambiti della vita che viviamo.
  
Diversi studi (ad esempio Feltz, 1994) hanno dimostrato che le convinzioni di autoefficacia influenzano significativamente la motivazione e l’impegno con cui un atleta pratica il proprio sport e anche le prestazioni che raggiunge. Tuttavia, l’autoefficacia non agisce direttamente sul livello delle prestazioni future; essa si ripercuote sui processi di pensiero, sul livello e la persistenza della motivazione, sul grado di impegno profuso, e sugli stati affettivi. Tutti questi fattori contribuiscono in modo rilevante sulle prestazioni realizzate: le persone non provano neppure se ritengono di non essere capaci, ma, quando sono convinte di esserlo, il loro impegno e i loro successi superano spesso ogni previsione.
  
Eraclito diceva “chi non crede nell’impossibile non lo realizzerà mai” e ci sono degli esempi di prestazioni straordinarie nello sport che dimostrano che talvolta ciò che sembrava impossibile sia stato realizzato.
  
Una volta compreso che una prestazione è realizzabile da qualcuno, questo incide positivamente sulla convinzione di potercela fare anche in altre persone; infatti osservare qualcun altro che esegue correttamente un compito o realizza una certa prestazione rappresenta una delle quattro fonti principali dalle quali deriva il senso di autoefficacia.
 
Quindi per iniziare e progredire verso un’attività fisica bisogna trovare la giusta motivazione e mantenerla nel tempo, prefissando degli obiettivi stimolanti e non impossibili, così da poter incrementare la propria percezione di autoefficacia e trasferire tali processi di pensiero in tutti gli ambiti della propria vita.
       
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domenica 23 gennaio 2011

Alzati e Corri - Da 0 a 10 km

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Da 0 a 10 km
  

Quel pomeriggio mi stesi con grande soddisfazione sul divano e lo osservai con occhi nuovi. Negli ultimi due mesi il rapporto con il divano era decisamente cambiato. Due mesi prima era il simbolo della mia resa, il luogo dove vivevo con rassegnazione quel senso di apatia che soffocava la mia vita. Oggi, quello stesso divano, era diventato lo strumento dove godermi il mio "meritato" riposo.
 
Ce l'avevo fatta, avevo raggiunto quel sospirato traguardo, che oggi sentivo essere il punto di partenza di nuove sfide che avrei affrontato da protagonista. Non sapevo ancora quali sfide, ma lo avrei scoperto presto. Il mio fisico, ma soprattutto la mia testa, si erano rimessi "in movimento" e non avevano alcuna voglia di fermarsi nuovamente.
 
Quel "piccolo-grande" traguardo mi era costato tanto impegno, ma la soddisfazione che ne avevo ricevuto indietro mi aveva ripagato di ogni sforzo effettuato. Come dice il proverbio "non c'è rosa senza spine" e le mie spine erano state  le alzatacce alle 6 di mattina, il parco ghiacciato e battuto dal vento, quel maledetto ginocchio che per alcuni giorni si era ribellato ai miei ritmi di allenamento. In quelle situazioni avevo dovuto combattere contro il richiamo del letto, del calore della casa, del ginocchio steso sopra una sedia, ma avevo combattuto e avevo vinto, e ora sapevo che ne era valsa la pena.
 
Ora riflettevo su tutto quello che avevo imparato in quei due mesi per fissarlo nella mia testa ed evitare di cadere in nuovi periodi di "divanismo", una delle peggiori malattie dell'era moderna.

I limiti sono nella nostra testa
 
Per prima cosa avevo imparato che la maggior parte dei limiti risiede nella nostra testa e sono quelle convinzioni che ci impediscono di realizzare i nostri sogni. Non aderisco alla scuola di pensiero per cui "non esistono limiti". Sono certo che non siamo tutti uguali, che alcuni limiti esistono e sono scritti nel DNA. Però la maggior parte dei limiti che condizionano concretamente la nostra vita sono il frutto delle nostre scelte, spesso inconsapevoli e sedimentate negli anni, frutto di comportamenti e atteggiamenti sbagliati.
 
Superarli costa fatica, soprattutto all'inizio, quando è necessario superare l'inerzia dell'abitudine. E poi ci sono tutti gli alibi mentali, la maggior parte dei quali, pur non avendo alcuna reale consistenza, agiscono da vere e proprie barriere.
 
Quanti alibi per non correre
  
Rispetto alla corsa l'alibi principale è: "non ho tempo". C'è sempre un tempo per correre, basta arretrare la lancetta della sveglia per 3 giorni alla settimana fino al momento che ci permette di correre per un'ora. Superato il primo alibi, scatta il secondo: "non ce la faccio, la mia attività mi stanca troppo, la sera sono distrutto". La corsa fatta in modo regolare non stanca, anzi, rimette in modo il nostro organismo generando nuove energie. C'è anche una spiegazione chimica a tutto questo, ed è legata al ruolo delle endorfine, ma preferisco dare valore al ruolo "motivazionale". Dopo una corsa all'alba e una doccia ristoratrice, si affronta la giornata di lavoro con grande energia e soprattutto con maggiore grinta...provare per credere. C'è un terzo alibi a cui spesso si fa ricorso in questi casi: "la corsa non mi piace". Questo alibi potrebbe essere accettato solo se pronunciato da chi ha praticato la corsa con una certa assiduità, mentre la maggior parte di coloro che lo usano hanno fatto nella loro vita solo alcuni timidi approcci con questa disciplina (uno dei quali ero io). La corsa va praticata con "metodo" e con "costanza", perché solo dopo un certo tempo che la si pratica si comincia a godere dei suoi benefici, al punto che per molti essa diventa una sorta di "dipendenza".
 
Iniziare con gradualità

Un'altra cosa che ho imparato è che la corsa va avvicinata con "moderazione" e "saggezza" senza strafare, seguendo una tabella di allenamento progressivo che ci porti da 0 a 10 km con la giusta gradualità. Ricordate che seguendo il metodo MeUP (oggi 6più) sono partito da un preallenamento di 21 minuti, costituito da un'alternanza di 1 minuto di corsa continua e di 2 minuti di camminata veloce, per arrivare nel giro di 8 settimane a 60 minuti di corsa continua. Questo è il metodo giusto. Senza questa gradualità difficilmente riuscirete nel vostro intento e dopo due settimane avrete buone probabilità di sentirvi nauseati oppure di andare incontro a qualche fenomeno infiammatorio che vi impedirà di proseguire nel vostro percorso.

Porsi un obiettivo concreto e misurabile

Inoltre ritengo importante porsi un obiettivo preciso e concreto con cui misurarci. L'esistenza di un obiettivo aumenterà le motivazioni che saranno determinanti nei momenti difficili, quando la testa cercherà di convincerci a smettere. Nel mio caso quell'obiettivo è stato appunto rappresentato dalla Corsa di Miguel, ma ognuno di voi potrà porsi il proprio, purché sia un obiettivo "misurabile".
  
Le scarpe e l'abbigliamento
 
Un altro consiglio che posso darvi è legato all'equipaggiamento e in modo particolare alle scarpe. Per le scarpe rivolgetevi sin da subito a un negozio specializzato dove sappiano consigliarvi sulla scelta. Le scarpe devono essere adatte al fisico, alla postura e anche alla forma del piede. Puntate decisamente al confort e la qualità della vostra esperienza podistica sarà indubbiamente superiore. Per il resto dell'abbigliamento è importante che si tratti di un abbigliamento leggero e traspirante. Meglio sopportare un po' di freddo al primo impatto che soffrire il caldo con l'avanzare dell'allenamento. E' importante idratarsi con una certa costanza, per cui se nel vostro circuito di allenamento non sono presenti "fontanelle", portare una borraccia con voi (esistono dei comodi e funzionali porta-borraccia) e bevete spesso, a piccoli sorsi.
 
Correre in sicurezza
 
Consultate sempre il vostro medico prima di iniziare a praticare la corsa, e quando la pratica sarà diventata costante rivolgetevi a un medico sportivo. Un controllo annuale vi permetterà di praticare la corsa in tranquillità e in sicurezza. E se poi avete qualche problema fisico che vi sconsiglia la pratica della corsa, ricordate che ci sono discipline alternative, come il Fit-Walking (camminata sportiva) e il Nordic Walking (camminata nordica) che vi regaleranno le stesse motivazioni, gli stessi benefici e le stesse soddisfazioni della corsa.
   
Passare da 0 a 10 km è un obiettivo raggiungibile da chiunque, specialmente seguendo queste piccole raccomandazioni frutto della mia diretta esperienza. 
    
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Alzati e Corri - La Corsa di Miguel

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo La Corsa di Miguel
  

Era arrivato il grande momento di mettermi alla prova con la prima corsa della mia vita, alla “veneranda” età di 46 anni. Domenica 23 gennaio 2011, una data che avrei ricordato.
 
Quella mattina mi svegliai all'alba, dopo una notte molto agitata. Guardai e riguardai tutto l'equipaggiamento che avevo distribuito la sera prima sul tavolo del soggiorno. Su tutto spiccava quella canotta orange con il pettorale 2891. La "lezione sull'abbigliamento", sulla necessità di mantenersi leggeri, evidentemente non l'avevo ancora compresa bene, e guardando il cielo plumbeo finì per aumentare gli strati di protezione.  

Arrivai allo Stadio Paolo Rosi con largo anticipo, un classico per me, ma con sorpresa trovai l'area destinata alle società sportive in pieno delirio. Faticai a trovare i gazebo della Podistica Solidarietà. Singolare che il primo gazebo che incontrai fu quello dei Lazio Runners, un trionfo di colori bianco e blu e soprattutto di Aquile. Considerata la mia passione calcistica, lo interpretai come un segno del destino.
 
Arrivai finalmente a "casa orange" dove mi accolse un sorridente Pino Coccia, che volle presentarsi di persona, augurandomi un buon esordio. Mi colpì il suo tono "familiare" e questo mi fece sentire immediatamente a mio agio. Notai i preparativi febbrili, il clima di eccitazione che mi circondava ovunque e che aumentava con il passare dei minuti. Arrivò anche Max che mi dispensò alcuni importanti suggerimenti. A un certo punto mi scontrai quasi con Laura, un'amica che non avrei mai immaginato di incontrare in quella situazione, e che scoprì in quel momento essere una runner appassionata.
 
L'ora della partenza si avvicinava e il clima di eccitazione cresceva. La pista dello stadio era piena di runner che completavano il loro riscaldamento, mentre io mi sentivo completamente paralizzato. Mi inserì nel flusso di podisti che si recavano verso le griglie di partenza con lo stesso entusiasmo di un carcerato che percorre "l'ultimo miglio". L'ingresso in griglia segnava una sorta di "spartiacque" tra l'andare il non andare. Circondato da migliaia di podisti mi resi conto che ogni possibile via di fuga mi era preclusa: "il dado era tratto".
 
Il colpo dello start arrivò inesorabile, e la marea di runner cominciò a muoversi verso l'arco che segnava ufficialmente l'inizio di quella avventura. Vedevo gli altri podisti sfrecciarmi davanti, colti da una strana euforia, mentre io mi mantenevo guardingo e timoroso. Al cartello del primo chilometro consultai il mio cronometro, scoprendo di aver impiegato esattamente 6 minuti. Avevo spesso pensato a quel particolare "ritmo", che mi avrebbe consentito di chiudere la gara in un'ora. In realtà non avevo alcuna idea di come poterlo mantenere e invece lo avevo ottenuto "casualmente".

Mi accorsi che un'atleta della mia stessa squadra correva davanti a me mantenendo il mio stesso ritmo. Più avanti avrei scoperto che si chiamava Carla, ma allora era per me una perfetta sconosciuta. La sua corsa era regolare ed era anche facile da seguire a causa di una folta capigliatura che la rendeva riconoscibile anche a una certa distanza, nonostante il turbinio di runner che attraversavano lo spazio che ci separava. Riuscì a seguirla per almeno 7 chilometri, mantenendo quel ritmo di 6 minuti a chilometro. Poi lei allungò e io comincia a crollare, ma ormai il traguardo si stava avvicinando.
  
Attraversai Ponte Milvio in evidente difficoltà ma tenni duro fino all'ingresso dello Stadio Paolo Rosi. Gli ultimi metri sulla pista di atletica furono i più difficili, ma finalmente il traguardo si materializzò sulla mia testa.

Ce l'avevo fatta, completando il percorso di 10.200 metri in poco più di un'ora, esattamente in 61 minuti e 43 secondi. Provai una gran bella soddisfazione, soprattutto per aver superato quei limiti che appena un paio di mesi prima mi apparivano insormontabili. Quei limiti che Max avrebbe chiamato le "convinzioni limitanti", limiti che esistono esclusivamente nella nostra testa.
    
Quel risultato lo dovevo certamente agli amici di MeUP, ma lo dovevo soprattutto a me stesso, per averci creduto con ostinazione, anche quando il ginocchio aveva cominciato a farmi male, perseguitandomi per 18 lunghi giorni.

Una parte del merito lo dovevo assegnare anche alla Podistica Solidarietà, perché correre con quella canotta mi aveva fatto sentire parte di una grande squadra. Dovevo ringraziare anche Carla, per avermi inconsapevolmente trainato per quasi 7 chilometri.

Salutando gli atleti della Podistica Solidarietà, ancora inebriato da quella sensazione positiva, mi lasciai sfuggire un "alla prossima", già perché in quel momento sentivo che ci sarebbe stata "una prossima". La corsa mi era entrata definitivamente "dentro".
    
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sabato 22 gennaio 2011

Alzati e Corri - Il conto alla rovescia

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Il conto alla rovescia
  

Le giornate scorrevano velocemente e la "grande sfida" si avvicinava. Avevo iniziato il 27 novembre con un primo allenamento di 21 minuti, alternando un minuto di corsa a due minuti di camminata veloce, e in poche settimane avevo maturato la capacità di allenarmi per un'ora, con frazioni di corsa continua di oltre mezz'ora.
 
A due settimane dalla Corsa di Miguel, realizzai il cambiamento che era intervenuto in me. Mi sentivo molto più leggero e avevo la sensazione che le gambe volassero sui sentieri battuti del Parco delle Sabine. Questa sensazione mi dava conforto e fiducia, eppure non riuscivo a scrollarmi di dosso un senso di angosciosa incertezza.
 
Avevo infatti il pieno controllo del "tempo", ma nessuna idea della "distanza". Sapevo cioè quanti minuti ero in grado di correre, ma non sapevo quale fosse il mio ritmo di allenamento e quindi la distanza percorsa in quel tempo. Non avevo mai avuto modo di misurare le mie "prestazioni" e quindi non sapevo se quei fatidici 10 km fossero realmente alla mia portata.  
 
Positività e negatività si confrontavano costantemente fra loro con esiti alterni. Ce la faccio, non ce la faccio, sì ce la faccio, no non ce la faccio. Ogni giorno sfogliavo la mia personale "margherita". In questa alternanza tra certezze e incertezze giocavano il loro ruolo anche i miei amici: dai loro sguardi traevo fiducia oppure sconforto.
  
A darmi le maggiori certezze c'era proprio Max, il mio mentore, ma da lui non potevo aspettarmi altro.

Contavo i giorni che mi separavano da questa prova che improvvisamente aveva assunto grande importanza. Quel traguardo simboleggiava nella mia mente l'uscita da un tunnel in cui ero entrato un anno prima.  

Sabato 22 gennaio mi recai nella sede della Podistica Solidarietà a ritirare il pettorale. Quella procedura, che con il tempo sarebbe diventata un'operazione di routine, quel giorno assunse un significato particolare. In mezzo a tanta gente iniziai a respirare il clima della competizione cosa che provocò un picco adrenalinico che ancora oggi posso percepire.
 
A casa continuai a guardare quel pettorale sul quale era stampato il mio nome e cognome, e il numero che avrebbe segnato il mio esordio: 2891. Prima di andare a dormire lo fissai sulla canotta orange, un'operazione che allora risultò complicatissima.
 
Il conto alla rovescia era ormai terminato. Il tempo delle chiacchiere era finito, era venuto il momento di correre.
    
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lunedì 10 gennaio 2011

Alzati e Corri - Podistica Solidarietà

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Podistica Solidarietà
  

In questo mio particolare percorso di "redenzione" assumerà un ruolo decisivo la Podistica Solidarietà, un'associazione sportiva che coniuga la passione per la corsa con una missione di carattere solidale. Questa doppia connotazione rappresenta un indubbio fattore di unicità nel panorama seppur ampio delle società podistiche e genera grande senso di appartenenza e di partecipazione tra i suoi associati. 
 
Per partecipare alla Corsa di Miguel era necessario iscriversi a una società podistica e la Podistica Solidarietà era appunto la società podistica collegata con il progetto MeUP. Nel mese di gennaio 2011 completai le procedure di iscrizione a questo sodalizio restando subito folgorato da questo clima di grande partecipazione.
 
Venni abilitato all'area riservata del loro sito, dove è presente una sorta di "social network" che consente a tutti gli associati di confrontarsi sui temi della corsa e della solidarietà. Ogni giorno visitavo quest'area e leggevo "con avidità" ogni commento pubblicato, facendomi letteralmente conquistare da questa comunità di persone.
 
Non avevo ancora corso la mia gara, ma ero già innamorato della Podistica Solidarietà. Ricordo ancora quando andai in sede per la prima volta per ritirare la mia prima "canotta orange". Ad accogliermi un ragazzo di nome Mirko, il quale esercitava il suo ruolo di "custode della sede". Sembrava molto impacciato, forse era alla sua prima esperienza, e questa cosa, unita alla cordialità con cui mi accolse, mi rassicurò molto perché mi confermò quell'immagine di "grande famiglia" che avevo già ricavato dalle mie visite al sito.
 
Arrivato a casa provai subito la canotta orange e mi sentì un podista solidale a tutti gli effetti. Non vedevo l'ora che arrivasse il grande giorno, anche se oltre all'eccitazione cresceva di pari passo la preoccupazione e la paura di non farcela.
 
Nei mesi successivi avrei conosciuto i tanti personaggi che animano questa gloriosa società, in modo particolare il suo Presidente Pino Coccia, una grande persona dotata di un incredibile carisma. Fu una leva determinante per la mia motivazione, per la trasformazione graduale del mio obiettivo: dalla pura e semplice voglia di tagliare il traguardo di una 10 km, al raggiungimento di un traguardo così impegnativo, come quello di una Maratona alla fine del mio primo anno di attività.
 
Ma ci sarà modo e maniera per parlare ancora della Podistica Solidarietà e dei suoi tanti personaggi.
  
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giovedì 6 gennaio 2011

Alzati e Corri - Non strafare

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Non strafare
  

Gli allenamenti procedevano in linea con le indicazioni della tabella. Ero molto soddisfatto dei miei progressi, e anche la mia "testa" sembrava reagire bene alle sollecitazioni del fisico. Alla fine della 3a settimana ero arrivato a correre per 9 minuti di seguito, che detta così può apparire una cosa da nulla, ma per me rappresentava in quel momento una sorta di "record del mondo". Si trattava di 9 minuti di corsa alternati a 3 minuti di camminata rapida, una serie ripetuta per 5 volte, per un totale di 1 ora di allenamento. La soglia dei 60 minuti aveva per me un importante valore di carattere psicologico, facendo crescere la mia fiducia rispetto alla possibilità di raggiungere il mio obiettivo: quello di correre per 10 km.
   
La sfida con il cronometro era sempre molto ardua, i minuti di corsa sembravano non passare mai, mentre quelli di camminata veloce si consumavano nel breve volgere di uno sguardo, ma erano passate solo 3 settimane e ne mancavano ancora 5 alla "grande sfida". Se avessi mantenuto quel trend di miglioramento avrei avuto buone probabilità di farcela...un mantra che ripetevo a me stesso nei momenti di positività. C'erano anche i momenti di negatività in cui pensavo di aver posizionato l'asticella troppo alta: preparare una corsa da 10 km in appena 8 settimane era un obiettivo fuori della mia portata?  In quei momenti pensavo che qualsiasi evento negativo fosse intervenuto in quel periodo avrebbe potuto vanificare i miei sforzi.
 
E in effetti l'evento negativo accadde, quasi imprevisto.
 
Il programma MeUp prevedeva al suo interno un allenamento "di gruppo" a Villa Pamhili, fissato per sabato 19 dicembre del 2010.  Mi recai all'appuntamento stabilito, ma tra tutti i partecipanti ero a questo meeting ero l'unico "esordiente". Gli altri erano tutti podisti che avevano già raggiunto l'obiettivo dei 10 km e che si stavano preparando per nuovi traguardi. Max Monaco, mi suggerì di seguire il mio programma di allenamento, che per quella giornata prevedeva 10 minuti di corsa continuata alternata a 3 minuti di camminata sportiva, il tutto ripetuto per 4 volte, senza farmi condizionare dagli altri. Un allenamento individuale in una situazione di gruppo.
 
Facile a dirsi e meno facile a farsi...mi lasciai trascinare. Mi agganciai a un gruppetto che teneva un ritmo accettabile e dimenticai il cronometro e soprattutto il programma. Ero abituato a correre solo e al freddo dell'alba, per cui ritrovarmi in gruppo e al tepore di una mezza mattinata molto calda rappresentò per me un'esperienza molto piacevole. A un certo punto la stanchezza arrivò con tutto il suo malefico carico e le mie gambe cominciarono a "presentarmi il conto", ma la mia testa non voleva saperne di mollare e rimasi agganciato a quel gruppetto. Anche il caldo si accanì contro di me, mettendomi seriamente alla prova. Il mio abbigliamento, tarato per resistere agli strali dell'inverno, non era adeguato ad una giornata che si preannunciava molto calda rispetto alla media del mese di dicembre.
  
Fu una vera sofferenza ma alla fine completai il percorso previsto per quella prova senza mai smettere di correre. A prova completata appresi che si trattava di un percorso di quasi 7 chilometri, cosa che mi face sentire molto orgoglioso di me, convinto di aver fatto un clamoroso passo in avanti verso il mio "traguardo". Inoltre avevo appreso un'importante lezione che mi sarebbe stata utile in futuro: mai coprirsi troppo nella corsa.  
 
Ma la lezione più importante che avevo appreso quel giorno non era quella legata all'abbigliamento. Avrei scoperto a mie spese che l'insegnamento più importante per un neofita della corsa è quello di "non strafare" e di attenersi alle "tabelle di allenamento". Avevo decisamente esagerato, andando ben oltre le mie possibilità di quel momento. Lo avrei scoperto con amarezza e preoccupazione il giorno dopo, al momento di scendere dal letto: una fitta al ginocchio destro mi colse alla sprovvista facendo disperdere quell'euforia che si era impadronita di me il giorno precedente. 
 
Quel dolore divenne parte di me e della mia sfida, rischiando di compromettere il mio programma di allenamento. Decisi di andare avanti cercando di ignorare quel dolore, ma ogni sessione di allenamento si trasformava in un calvario. Quella sensazione non mi abbandonava mai, in nessun momento della giornata. Ma la cosa peggiore non era il dolore in sé, ma il senso di minaccia che quel dolore si portava dietro.
 
Valutai l'ipotesi di consultare un medico, ma immaginai che qualsiasi medico mi avrebbe prescritto un periodo di riposo e io non avevo "tempo" per riposare. Ormai quella sfida mi era entrata dentro e volevo vincerla ad ogni costo. Dopo la Corsa di Miguel avrei affrontato seriamente la questione.
 
Passavano i giorni e il dolore non mi mollava. Mi ero quasi convinto, con un processo di "autodiagnosi", che si trattasse di un problema al menisco e questo aumentava la mia angoscia. Continuai così per tutto il periodo natalizio, fino al 6 gennaio del 2011, il giorno dell'Epifania. Quel giorno tornai a casa dall'allenamento veramente provato e pensai che la solita terapia con il ghiaccio non sarebbe stata sufficiente. Decisi di ricorrere a un antinfiammatorio, cosa che fino a quel momento avevo accuratamente evitato ricordando i problemi che gli antinfiammatori mi avevano provocato in passato.
 
In serata mi resi conto che il dolore era scomparso, dal mio ginocchio e dalla mia testa, e l'effetto benefico si prolungò fino al momento di andare a letto. La vera sorpresa la ebbi il mattino successivo. Il dolore si era clamorosamente ridimensionato: al tatto potevo ancora percepire l'indolenzimento, ma ero tornato a camminare senza problemi.
 
Il giorno dopo andai a correre con grande cautela ma completai l'allenamento senza problemi. Ero fuori dal tunnel nel quale mi ero infilato quel sabato a Villa Pamphili. Ero incredulo, e soprattutto più confidente rispetto alla mia sfida. Avevo superato l'evento negativo dopo 18 giorni di sofferenza e ora dovevo dare tutto quello che avevo in quelle due settimane che mi separavano dalla Corsa di Miguel.
 
Tenni in mente le due lezioni apprese in quel periodo, quella di non coprirsi troppo e quella di non strafare, mi avrebbero aiutato in futuro.
 
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