sabato 28 maggio 2011

Alzati e Corri - Una mano tesa

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Una mano tesa

Nella corsa, come nella vita, quando ti vieni a trovare in una situazione di difficoltà,  quando credi che tutto sia compromesso, puoi sempre trovare qualcuno disponibile a tenderti una mano e a tirarti fuori da quella situazione. Per questa ragione, nella corsa, come nella vita, è importante "non arrendersi mai".  

Nella nostra narrazione siamo arrivati alla fine del mese di maggio, esattamente al 28 maggio del 2011, quando a Villa Pamphili la Podistica Solidarietà organizza la “Corri per Telethon”, una corsa di 10 km che fa parte della campagna di sostegno alla ricerca sulle malattie genetiche.

Un appuntamento che non posso saltare, anche se la mia allergia stagionale si trova nella sua fase più acuta, e il pensiero di dover correre dentro un parco e in una giornata molto calda, mi incute un senso di grande preoccupazione.

Arrivo con largo anticipo per contribuire all’organizzazione della gara e le cose da fare sono così tante che la mia mente "archivia" ogni preoccupazione, anche se l’allergia si palesa in modo inequivocabile.

Dopo la partenza bastano pochi minuti per capire che le mie preoccupazioni erano ben fondate; il polverone alzato dalle centinaia di runner che mi precedono agisce come un potente detonatore delle mie reazioni allergiche e sento le mie capacità respiratorie peggiorare costantemente. Il mio “motore” perde colpi e diventa complicato affrontare in modo dignitoso l’impietoso saliscendi che caratterizza il "profilo" di Villa Pamphili.

Sono veramente in crisi, ma non mi arrendo e continuo ad arrancare sui vialetti polverosi. Raggiungiamo la zona del laghetto, meno polverosa e soprattutto in leggera discesa, quando vengo raggiunto da Anna Maria Ciani, una podista molto solidale, che vedendomi in chiara difficoltà mi dispensa i suoi preziosi consigli per migliorare la respirazione. In situazioni di difficoltà respiratoria è importante mantenere un controllo del ritmo respiratorio evitando il fenomeno dell’iperventilazione, caratterizzato da un ritmo respiratorio troppo rapido che ha l’effetto di ridurre la quantità di ossigeno assunta durante l’inspirazione, aumentando la sensazione di rimanere senza fiato.

Sto molto meglio e mi sento più sicuro, anche perché il traguardo si avvicina inesorabilmente. Ma c’è un pericolo in agguato, rappresentato da una salita tanto lunga quanto ripida, uno strappo in grado di “demolire” tutte le mie certezze. La cima mi sembra irraggiungibile e quindi evito di guardare in alto. Mi ingobbisco e affronto la salita con passo lento ma regolare.  Sono così concentrato che rischio di scontrarmi con un altro compagno di squadra, che ha smesso di correre e arranca con fatica verso la vetta. Non lo conosco, però mi giro verso di lui e gli chiedo se ha bisogno di aiuto. Mi tranquillizza, mi dice che preferisce camminare ma che è in grado di arrivare al traguardo.

Proseguo con il mio ritmo e raggiungo la cima, ma il peggio deve ancora arrivare. La mia allergia torna a farsi sentire e la mia respirazione ritorna ad uno stato di pericolosa precarietà. L’ultimo chilometro si consuma in un tratto particolarmente polveroso e questo rende questo finale veramente complesso. Vedo l’agognato traguardo in fondo al rettilineo, ma in quel momento sembra irraggiungibile. Avrei voglia di fermarmi ma in linea con la mia filosofia del “non mollare mai” cerco di non cedere alla sensazione. Sono veramente in crisi quando vedo materializzarsi accanto a me la figura imponente del mio compagno di squadra, quello che arrancava in salita. Mi ha raggiunto e ora è lui a preoccuparsi di me. Ci metto un po’ a realizzare che mi sta tendendo una mano; non posso rinunciare a quella spontanea offerta di aiuto, anche se arriva da un runner che non avevo mai incontrato prima, un runner che come me indossa una canotta orange che rappresenta un’implicita condivisione di valori che si richiamano al principio della solidarietà.

Prendo la sua mano e insieme arriviamo al traguardo, immortalati da una fotografia che ricorda la più famosa fotografia della “borraccia” scambiata tra Coppi e Bartoli. In quel caso nessuno è riuscito ad affermare con ragionevole certezza chi avesse offerto la borraccia all’altro, mentre nel nostro caso non ci sono dubbi, è stato quel compagno di squadra, al secolo Fabio Tucci, a tendere la mano a me e a “trascinarmi” al traguardo. Un gesto importante ma non così inusuale nel mondo della corsa.

Infatti la corsa è uno spaccato della società contemporanea, in cui puoi ritrovarci tutti i pregi e i difetti della mondo attuale. Ci sono senz’altro runner che si caratterizzano per individualismo e competitività estrema, ma ci sono anche tanti runner che non rinunciano a guardarsi indietro e se serve a fermarsi per aiutare un altro runner in difficoltà. E come accade nella vita di tutti i giorni, quando ti vieni a trovare in una situazione di difficoltà,  quando credi che tutto sia compromesso, puoi sempre trovare qualcuno disponibile a tenderti una mano e a tirarti fuori da quella situazione. Per questa ragione, nella corsa, come nella vita, è importante "non arrendersi mai".

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lunedì 23 maggio 2011

Alzati e Corri - La Paciotta

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo La Paciotta
  
Ci sono persone che se non ci fossero andrebbero inventate, e sono quelle persone in grado di fornire energia vitale al nostro ecosistema, che come tutti gli ecosistemi è fatto di elementi che producono energia, di elementi che la consumano, e di elementi che non fanno né una né l'altra cosa. Nessun ecosistema, specialmente di carattere sociale, potrebbe sopravvivere a lungo senza elementi in grado di trasmettere agli altri la loro energia.

Una società podistica evidentemente non può sfuggire a questa logica. Parlare del presidente Pino Coccia lo trovo quasi scontato, perché sono convinto che senza di lui la Podistica Solidarietà, almeno nelle forme in cui l'ho conosciuta, non sarebbe mai esistita, e quindi anche questa mia particolare esperienza avrebbe certamente avuto un corso diverso.
  
In questo capitolo mi piace però parlare di un altro "fornitore" di energia vitale, che ebbe un'influenza su questa mia personale avventura. Sto parlando di Daniela Paciotti, per tutti "la Paciotta", una ragazza imprigionata nel corpo di una donna matura.  

La Paciotta era un "pozzo" di energia vitale da cui si poteva attingere a piene mani quando ne avevi bisogno, in modo particolare, quando ti assalivano i dubbi, quando ti chiedevi se la tua decisione di lanciarti in un’avventura apparentemente più grande di te, fosse stata una decisione avventata. In quei momenti la Paciotta, con il suo esempio, rappresentava un’implicita forma di rassicurazione. Non c’era ostacolo che non si potesse affrontare, non c’era distanza che non si potesse superare, un passo dietro l’altro e soprattutto con il sorriso sulle labbra.

La determinazione e la tenacia erano le caratteristiche principali della versione podistica di Daniela, quelle che metteva in evidenza in ogni gara, quelle che potevi immediatamente percepire quando la osservavi in azione. Ma il “vero trucco” della paciotta era quello di esprimere tutto questo con passione e gioia di vivere.

Osservare Daniela in azione era nel mio caso un modo di guardarmi dentro alla ricerca di nuove risorse motivazionali, alla ricerca di quella convinzione che può moltiplicare le forze di una persona, alla ricerca di quelle paroline chiave che a volte sono riuscite addirittura a cambiare le sorti della storia: “si può fare”.

La notizia straordinaria per me era che anche la paciotta aveva deciso di "gettare il cuore oltre l’ostacolo” e di iscriversi alla Maratona di Firenze, dove avrebbe realizzato il suo esordio sulla distanza di 42.195 metri.

Da lì, fino a quel fatidico 27 novembre, ogni volta che un dubbio sarebbe affiorato nella mia mente avrei attinto al mio pozzo di energia per rassicurare me stesso e ripetermi le paroline magiche: “si può fare”.

La Maratona di Firenze sarebbe diventata la Maratona di esordio anche per altri due amici Cristiano Giovannangeli e David Kevorkian, il toscano. Loro però erano podisti doc, di quelli più seri, in grado di programmare la loro avventura in modo più razionale di quanto lo avremmo fatto io e la paciotta.

Io e la Paciotta avremmo puntato tutto sulle emozioni, le ali che ci avrebbero portato al traguardo di questa sfida.
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venerdì 20 maggio 2011

Alzati e Corri - La corsa è libertà

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo La corsa è libertà
 
Vivi, corri per qualcosa, corri per un motivo… che sia la libertà di volare o solo di sentirsi vivo… (dalla canzone “La Libertà Di Volare” dei Nomadi)
 
La corsa è libertà. Se frequentate un runner, avrete certamente sentito ripetere questa frase, anche in modo ossessivo, nel tentativo disperato di condensare l'essenza più profonda della corsa.

Del resto la libertà è forse il valore più importante della vita umana, un valore per il quale molti uomini, nella lunga storia dell’umanità, hanno trovato la forza di sacrificare un altro valore supremo, quello della propria vita.  A pochi mesi dal mio ingresso nella comunità dei runner potevo confermare che la corsa è in grado di regalare una grande sensazione di libertà.
 
Sono certo che queste riflessioni sulla libertà hanno percorso la testa di molti tra i podisti che hanno varcato gli alti cancelli della Casa Circondariale di Rebibbia per prendere parte ad una speciale edizione di Vivicittà, la grande kermess podistica organizzata dalla UISP. Questa particolare edizione si svolge all’interno del complesso penitenziario romano e consente un confronto sportivo e umano tra uomini liberi e uomini che invece la libertà l’hanno persa. Storie umane apparentemente molto diverse tra loro, che per alcune ore si incrociano, eliminando ogni diversità.
 
Già… perché quando gli uomini mettono fondo alle loro risorse fisiche e mentali, affrontandosi in una competizione leale, la loro storia personale non conta più nulla. Quegli uomini sono veramente uguali e uniti dall’unica cosa che è in grado di superare tutte le barriere umane: lo sport.
 
Ma questo evento non è stata solo corsa, è stata tante cose di più. E’ stata un momento di socializzazione, di dialogo, di speranza, che poi è anche l’unica cosa che può restituire all’uomo la sua dignità e la sua libertà. A questo proposito mi piace citare la frase pronunciata dal protagonista del film “Sulle Ali della Libertà”: “la paura ti rende prigioniero, la speranza può renderti libero”.
 
E tutti coloro che hanno preso parte a questo straordinario momento non hanno avuto paura. Non hanno avuto paura di confrontarsi, di correre insieme, di sfidare il caldo e le insidie del percorso, di soffrire, di ridere, di parlare, di applaudire, di bere e di mangiare insieme. Dentro quelle mura si è vissuto un momento di grande speranza e alla fine della giornata quelle mura erano un po’ più basse del normale e attraverso di esse si poteva intravedere l’orizzonte.
 
Il Vivicittà Rebibbia è stato poi un modo di ribadire il binomio tra podismo e solidarietà, la possibilità di unire una grande passione, come quella podistica, con una enorme motivazione, come quella solidale. Un evento che ha del miracoloso, perché supera tutte le difficoltà  e tutte le differenze. Una sorta di miracolo umano e sportivo i cui meriti vanno ascritti in parte alla UISP Roma e in parte alla volontà di Giovanni, un “podista solidale” che dentro Rebibbia ci lavora, e che ha speso molte delle sue energie nell’organizzazione di questa gara, disegnando e poi preparando il percorso. Era bellissimo guardare gli occhi di Giovanni alla fine della giornata; erano pieni di legittima gioia, di quella soddisfazione che solo gli uomini “ricchi dentro" possono provare quando sanno di aver realizzato qualcosa di importante: quegli uomini che fanno le cose con il cuore e non solo perché le devono fare.
 
Ma attenzione, l'aspetto sportivo di questa gara non può essere sottovalutato, con prestazioni importanti nonostante le difficoltà del percorso. Si è trattato di una gara vera, con la prova non competitiva dominata dagli atleti detenuti, e la competitiva ad appannaggio degli atleti “venuti da fuori”.
 
Ora seguendo il filo logico di questo grande racconto dovrei parlare della mia prova sportiva, su quanto questa prova possa aver contribuito alla mia "preparazione" verso la Maratona di Firenze. Invece non lo posso fare, perché a causa della mia allergia ho ritenuto saggio "abbandonare" dopo appena 4 km, affrontando il primo "ritiro" della mia giovane carriera podistica. Eppure sono certo che questo evento abbia fornito un grande contributo nel percorso verso Firenze, perché ha contribuito a dare valore al mio impegno podistico, rendendolo ancora più solido.

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