sabato 19 febbraio 2011

Alzati e Corri - Il virus della Roma-Ostia

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Il virus della Roma-Ostia
   
Roma-Ostia, Roma-Ostia, Roma-Ostia…il virus mi aveva contagiato e ora si diffondeva a rapidità supersonica nelle mie cellule celebrali, impregnando tutti i miei pensieri.
  
Roma-Ostia, Roma-Ostia, Roma-Ostia…rientrato a casa dimenticai ogni altra incombenza e mi tuffai nella “rete” alla ricerca di informazioni su questa gara. E fu per me un duro colpo scoprire in questo modo l’esatto significato del termine “half-marathon”, inequivocabilmente associato alle altre due paroline magiche che dominavano ormai la mia mente: Roma-Ostia Half Marathon, 21097 metri, né uno di più, né uno di meno.
 
Roma-Ostia, Roma-Ostia, Roma-Ostia…la potente azione del virus mi impediva di “mollare la presa” nonostante quella distanza apparisse ai miei occhi come un obiettivo “impossibile”. Capisco che il linguaggio della pubblicità stesse imponendo l’idea che “impossible is nothing”, ma la mia componente razionale mi portava a pensare che, se è vero che il “cuore” a volte è in grado di spingerci oltre i nostri limiti, è altresì vero che c'è un limite a tutto.
   
Come potevo passare, in appena due settimane, dalla stentata capacità di arrivare con la “lingua di fuori” al traguardo di una 10 km, a completare una gara con un percorso lungo più del doppio? E non si può sottovalutare quel “più”, perché quando si è ai limiti della propria resistenza, quei 1097 metri in più rispetto al doppio sono un’enormità.
  
Roma-Ostia, Roma-Ostia, Roma-Ostia…condivisi il mio conflitto interiore tra la parte emotiva e la parte razionale nell’area commenti del sito della Podistica Solidarietà, con un commento che si concludeva con la storica domanda: CHE FARE? Si scatenò un dibattito che sorprese anche me e che evidenziò un’enorme spaccatura tra due tipologie diverse di podisti: i “podisti emotivi” e i “podisti razionali”. Il sito tracimò, travolto dalla voglia di gran parte della comunità orange di esprimere la propria opinione.
  
Nello schieramento dei “podisti emotivi”, quello del “non ci pensare…segui il tuo cuore…buttati”, si distinsero alcuni personaggi, come Daniela Paciotti e Giuseppe Di Giorgio, che meriterebbero un capitolo a parte (che prima o poi scriverò) per il loro modo di interpretare la corsa. A mediare tra queste due “mentalità” ci pensò l’onnipresente Presidente Pino Coccia, che in qualità di “coach” mi suggeriva di aspettare l’anno successivo, mentre in qualità di “podista appassionato” lasciava "aperta una porta" alla mia partecipazione.
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Il suggerimento di Pino era quello di fare almeno un tentativo di superare la soglia dei 10 km in allenamento, cercando di farne almeno 15, così da poter valutare la reazione del mio fisico. Mi sembrò un ragionamento molto sensato, e così programmai il tentativo per il sabato successivo.
 
Mi presentai al Parco delle Sabine, insieme al mio amico Umberto, determinato a raggiungere il mio super-obiettivo: correre per almeno 90 minuti. La mia corsa procedette tranquilla per 50 minuti, nei quali, nonostante la fatica e il respiro affannato, riversai sul mio compagno di corsa tutte le informazioni che avevo appreso intorno alla Roma-Ostia. Lui mi ascoltava, ma sembrava "vaccinato" contro da ogni possibile contagio, e, ad ogni mia esternazione, continuava a scrollare la testa come a voler sottolineare la mia follia
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Superata la soglia dei 60 minuti il mio entusiasmo crollò rapidamente, perché il mio fisico sembrava aver ingaggiato un’estenuante battaglia con la mia testa, mandando dei segnali di stanchezza molto chiari, segnali che con il passare dei minuti si trasformarono in fitte di dolore che attraversavano ogni mia fibra muscolare.
  
Alla soglia dei 70 minuti crollai miseramente e iniziai ad alternare corsa e cammino, anche se la mia corsa era diventata così pesante, che ad un osservatore esterno sarebbe stato impossibile distinguere le due fasi: mi stavo letteralmente trascinando. Mancavano ancora 5 minuti al raggiungimento dell’obiettivo, quando il mio fisico si rifiutò di proseguire in quella "tragedia" e mi impose lo stop definitivo. Stravolto dalla stanchezza e deluso dalla mia incapacità di arrivare fino all’obiettivo che mi ero posto, mi affrettai a mandare un sms al Presidente, con il quale rinunciavo ufficialmente alla partecipazione alla Roma-Ostia. Mi sentì in qualche modo sollevato, pensando di essere guarito dal contagio, perché la mia testa ormai rifiutava anche il solo pensiero di correre una mezza maratona.
   
Tutto finito? Neanche per sogno. Dopo mangiato mi sdraiai sul divano con le gambe ancora doloranti, ma dopo un paio d’ore, rimettendo i piedi in terra, mi resi conto che i dolori erano spariti e  che mi sentivo decisamente meglio, sia sul piano muscolare sia sul piano mentale.
  
Roma-Ostia, Roma-Ostia, Roma-Ostia, il virus aveva ripreso la sua diffusione. Ricordai che Pino mi aveva detto di valutare la reazione del mio fisico durante la corsa, ma soprattutto nella fase di recupero. La corsa era stata un disastro, ma il recupero era stato superlativo, inaspettato. Avevo immaginato di rimanere bloccato a letto per un paio di giorni, invece dopo due ore ero lì che “saltavo come un grillo”.
  
Tornai sul social network della Podistica Solidarietà e raccontai la mia esperienza ottenendo n’ondata di messaggi di incoraggiamento. I “razionali” si erano arresi e avevano smesso di commentare, lasciando tutto lo spazio agli “emotivi”. Mandai un nuovo sms al Presidente, chiedendogli se c’era ancora un pettorale libero. La risposta fu affermativa.
  
Un nuovo “dado era stato tratto”, il conto alla rovescia era partito: avrei corso la Roma-Ostia.
     
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