lunedì 28 novembre 2011

La mia prima Maratona, con un avversario in più

La mia prima Maratona, corsa a Firenze il 27 novembre del 2011 (365 giorni dopo il mio primo allenamento) con un avversario in più: Montezuma.

Avrei voluto raccontare questa gara in una forma mitologica, tracciando un parallelo con le leggende che accompagnano questa corsa. O forse l’avrei voluta raccontare in forma filosofica, tracciando un parallelo tra l’esistenza di ognuno di noi e la Maratona. Avrei voluto parlarvi del mio anno di corsa che si celebrava proprio il 27 novembre. Avrei voluto citare chissà quante canzoni, poesie e tutto quello che di più aulico poteva venirmi in mente, in linea con l'emozione di aver disputato la mia prima Maratona.

Invece sono costretto a raccontare della mia sfida a Montezuma, il diavoletto dispettoso che si è installato nel mio corpo, anzi nel mio intestino, durante la settimana e che ha sottoposto il mio fisico alle peggiori angherie, cercando di dissuadermi prima e di farmi ritirare poi.  Forse Montezuma non era altro che la parte saggia di me che ha cercato di mitigare la mia parte più avventuriera, costringendomi ad un atteggiamento più prudente di quello che avevo disegnato nel mio cervello. Un mio amico del resto dice sempre che nulla accade per caso. Comunque questa è un'altra storia, troppo filosofica, esistenziale, non adatta a questo resoconto, che visto la “delicatezza” dell’argomento dovrò per forza raccontare in chiave ironica.

Già perché la mia vera Maratona, inizia il giovedì precedente. Fino a quel momento tutto procedeva liscio: i miei allenamenti leggeri davano i giusti riscontri e le mie gambe volavano (si fa per dire) sui vialetti del parco. Avevo programmato ogni cosa e avevo acquistato tutto quello che serviva. Avevo valutato il percorso metro per metro, ero convinto di avere una risposta per ogni esigenza, e una soluzione a qualsiasi problema. Sarebbe stata la mia Maratona ideale, perché l’avevo studiata con cura. Il piano era perfetto, almeno così credevo.

Nel mio infallibile piano non avevo infatti considerato Montezuma.

lunedì 4 luglio 2011

Una storia di corsa

Il 3 luglio del 2011 ho corso una gara trail molto dura che si svolge a Sante Marie, un paese abruzzese.  La “Mezza Maratona sui sentieri di Corradino di Svevia”, 24 Km in mezzo ai boschi di castagni;  Uno scenario che mi ha ricordato il “mio” Raggiolo e che mi ha fatto tornare in mente una storia di tanti anni fa…

Eccolo lì Sante Marie, lo posso quasi toccare, eppure mi sembra irraggiungibile.

Questa salita non finisce mai e le mie povere gambe si lamentano, sembrano quasi ribellarsi. Mi chiedo quale sia la motivazione per cui riesco ancora a farle girare, a convincerle ad arrampicarsi ancora su per queste “greppie”.

In quel momento si materializza un ricordo lontano, qualcosa che avevo accantonato in qualche angolo della mia mente. Sento la voce di mio padre che dice: “Dai Maurizio, svegliati, è ora di andare a Quota”.

Mi sono alzato di scatto, adoro andare a Quota con mio padre. La nostra avventura estiva sta per cominciare. Sono giorni che ci sto pensando. Non vedo l’ora. Ma appena poggiati i piedi a terra ho sentito le mie gambe urlare dal dolore. E poi i reni, le braccia, il collo. Mi fa male tutto!

Conosco benissimo quella sensazione: “maledetta tonsillite!”. Già, la tonsillite a Raggiolo è un classico. Mia madre me lo dice sempre di non bagnarmi nel fiume…ma come si fa a giocare nel fiume senza bagnarsi?

Ma perché proprio stamattina? Quando devo andare a Quota con papà..."maledetta tonsillite!".

sabato 28 maggio 2011

Alzati e Corri - Una mano tesa

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Una mano tesa

Nella corsa, come nella vita, quando ti vieni a trovare in una situazione di difficoltà,  quando credi che tutto sia compromesso, puoi sempre trovare qualcuno disponibile a tenderti una mano e a tirarti fuori da quella situazione. Per questa ragione, nella corsa, come nella vita, è importante "non arrendersi mai".  

Nella nostra narrazione siamo arrivati alla fine del mese di maggio, esattamente al 28 maggio del 2011, quando a Villa Pamphili la Podistica Solidarietà organizza la “Corri per Telethon”, una corsa di 10 km che fa parte della campagna di sostegno alla ricerca sulle malattie genetiche.

Un appuntamento che non posso saltare, anche se la mia allergia stagionale si trova nella sua fase più acuta, e il pensiero di dover correre dentro un parco e in una giornata molto calda, mi incute un senso di grande preoccupazione.

Arrivo con largo anticipo per contribuire all’organizzazione della gara e le cose da fare sono così tante che la mia mente "archivia" ogni preoccupazione, anche se l’allergia si palesa in modo inequivocabile.

Dopo la partenza bastano pochi minuti per capire che le mie preoccupazioni erano ben fondate; il polverone alzato dalle centinaia di runner che mi precedono agisce come un potente detonatore delle mie reazioni allergiche e sento le mie capacità respiratorie peggiorare costantemente. Il mio “motore” perde colpi e diventa complicato affrontare in modo dignitoso l’impietoso saliscendi che caratterizza il "profilo" di Villa Pamphili.

Sono veramente in crisi, ma non mi arrendo e continuo ad arrancare sui vialetti polverosi. Raggiungiamo la zona del laghetto, meno polverosa e soprattutto in leggera discesa, quando vengo raggiunto da Anna Maria Ciani, una podista molto solidale, che vedendomi in chiara difficoltà mi dispensa i suoi preziosi consigli per migliorare la respirazione. In situazioni di difficoltà respiratoria è importante mantenere un controllo del ritmo respiratorio evitando il fenomeno dell’iperventilazione, caratterizzato da un ritmo respiratorio troppo rapido che ha l’effetto di ridurre la quantità di ossigeno assunta durante l’inspirazione, aumentando la sensazione di rimanere senza fiato.

Sto molto meglio e mi sento più sicuro, anche perché il traguardo si avvicina inesorabilmente. Ma c’è un pericolo in agguato, rappresentato da una salita tanto lunga quanto ripida, uno strappo in grado di “demolire” tutte le mie certezze. La cima mi sembra irraggiungibile e quindi evito di guardare in alto. Mi ingobbisco e affronto la salita con passo lento ma regolare.  Sono così concentrato che rischio di scontrarmi con un altro compagno di squadra, che ha smesso di correre e arranca con fatica verso la vetta. Non lo conosco, però mi giro verso di lui e gli chiedo se ha bisogno di aiuto. Mi tranquillizza, mi dice che preferisce camminare ma che è in grado di arrivare al traguardo.

Proseguo con il mio ritmo e raggiungo la cima, ma il peggio deve ancora arrivare. La mia allergia torna a farsi sentire e la mia respirazione ritorna ad uno stato di pericolosa precarietà. L’ultimo chilometro si consuma in un tratto particolarmente polveroso e questo rende questo finale veramente complesso. Vedo l’agognato traguardo in fondo al rettilineo, ma in quel momento sembra irraggiungibile. Avrei voglia di fermarmi ma in linea con la mia filosofia del “non mollare mai” cerco di non cedere alla sensazione. Sono veramente in crisi quando vedo materializzarsi accanto a me la figura imponente del mio compagno di squadra, quello che arrancava in salita. Mi ha raggiunto e ora è lui a preoccuparsi di me. Ci metto un po’ a realizzare che mi sta tendendo una mano; non posso rinunciare a quella spontanea offerta di aiuto, anche se arriva da un runner che non avevo mai incontrato prima, un runner che come me indossa una canotta orange che rappresenta un’implicita condivisione di valori che si richiamano al principio della solidarietà.

Prendo la sua mano e insieme arriviamo al traguardo, immortalati da una fotografia che ricorda la più famosa fotografia della “borraccia” scambiata tra Coppi e Bartoli. In quel caso nessuno è riuscito ad affermare con ragionevole certezza chi avesse offerto la borraccia all’altro, mentre nel nostro caso non ci sono dubbi, è stato quel compagno di squadra, al secolo Fabio Tucci, a tendere la mano a me e a “trascinarmi” al traguardo. Un gesto importante ma non così inusuale nel mondo della corsa.

Infatti la corsa è uno spaccato della società contemporanea, in cui puoi ritrovarci tutti i pregi e i difetti della mondo attuale. Ci sono senz’altro runner che si caratterizzano per individualismo e competitività estrema, ma ci sono anche tanti runner che non rinunciano a guardarsi indietro e se serve a fermarsi per aiutare un altro runner in difficoltà. E come accade nella vita di tutti i giorni, quando ti vieni a trovare in una situazione di difficoltà,  quando credi che tutto sia compromesso, puoi sempre trovare qualcuno disponibile a tenderti una mano e a tirarti fuori da quella situazione. Per questa ragione, nella corsa, come nella vita, è importante "non arrendersi mai".

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lunedì 23 maggio 2011

Alzati e Corri - La Paciotta

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo La Paciotta
  
Ci sono persone che se non ci fossero andrebbero inventate, e sono quelle persone in grado di fornire energia vitale al nostro ecosistema, che come tutti gli ecosistemi è fatto di elementi che producono energia, di elementi che la consumano, e di elementi che non fanno né una né l'altra cosa. Nessun ecosistema, specialmente di carattere sociale, potrebbe sopravvivere a lungo senza elementi in grado di trasmettere agli altri la loro energia.

Una società podistica evidentemente non può sfuggire a questa logica. Parlare del presidente Pino Coccia lo trovo quasi scontato, perché sono convinto che senza di lui la Podistica Solidarietà, almeno nelle forme in cui l'ho conosciuta, non sarebbe mai esistita, e quindi anche questa mia particolare esperienza avrebbe certamente avuto un corso diverso.
  
In questo capitolo mi piace però parlare di un altro "fornitore" di energia vitale, che ebbe un'influenza su questa mia personale avventura. Sto parlando di Daniela Paciotti, per tutti "la Paciotta", una ragazza imprigionata nel corpo di una donna matura.  

La Paciotta era un "pozzo" di energia vitale da cui si poteva attingere a piene mani quando ne avevi bisogno, in modo particolare, quando ti assalivano i dubbi, quando ti chiedevi se la tua decisione di lanciarti in un’avventura apparentemente più grande di te, fosse stata una decisione avventata. In quei momenti la Paciotta, con il suo esempio, rappresentava un’implicita forma di rassicurazione. Non c’era ostacolo che non si potesse affrontare, non c’era distanza che non si potesse superare, un passo dietro l’altro e soprattutto con il sorriso sulle labbra.

La determinazione e la tenacia erano le caratteristiche principali della versione podistica di Daniela, quelle che metteva in evidenza in ogni gara, quelle che potevi immediatamente percepire quando la osservavi in azione. Ma il “vero trucco” della paciotta era quello di esprimere tutto questo con passione e gioia di vivere.

Osservare Daniela in azione era nel mio caso un modo di guardarmi dentro alla ricerca di nuove risorse motivazionali, alla ricerca di quella convinzione che può moltiplicare le forze di una persona, alla ricerca di quelle paroline chiave che a volte sono riuscite addirittura a cambiare le sorti della storia: “si può fare”.

La notizia straordinaria per me era che anche la paciotta aveva deciso di "gettare il cuore oltre l’ostacolo” e di iscriversi alla Maratona di Firenze, dove avrebbe realizzato il suo esordio sulla distanza di 42.195 metri.

Da lì, fino a quel fatidico 27 novembre, ogni volta che un dubbio sarebbe affiorato nella mia mente avrei attinto al mio pozzo di energia per rassicurare me stesso e ripetermi le paroline magiche: “si può fare”.

La Maratona di Firenze sarebbe diventata la Maratona di esordio anche per altri due amici Cristiano Giovannangeli e David Kevorkian, il toscano. Loro però erano podisti doc, di quelli più seri, in grado di programmare la loro avventura in modo più razionale di quanto lo avremmo fatto io e la paciotta.

Io e la Paciotta avremmo puntato tutto sulle emozioni, le ali che ci avrebbero portato al traguardo di questa sfida.
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venerdì 20 maggio 2011

Alzati e Corri - La corsa è libertà

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo La corsa è libertà
 
Vivi, corri per qualcosa, corri per un motivo… che sia la libertà di volare o solo di sentirsi vivo… (dalla canzone “La Libertà Di Volare” dei Nomadi)
 
La corsa è libertà. Se frequentate un runner, avrete certamente sentito ripetere questa frase, anche in modo ossessivo, nel tentativo disperato di condensare l'essenza più profonda della corsa.

Del resto la libertà è forse il valore più importante della vita umana, un valore per il quale molti uomini, nella lunga storia dell’umanità, hanno trovato la forza di sacrificare un altro valore supremo, quello della propria vita.  A pochi mesi dal mio ingresso nella comunità dei runner potevo confermare che la corsa è in grado di regalare una grande sensazione di libertà.
 
Sono certo che queste riflessioni sulla libertà hanno percorso la testa di molti tra i podisti che hanno varcato gli alti cancelli della Casa Circondariale di Rebibbia per prendere parte ad una speciale edizione di Vivicittà, la grande kermess podistica organizzata dalla UISP. Questa particolare edizione si svolge all’interno del complesso penitenziario romano e consente un confronto sportivo e umano tra uomini liberi e uomini che invece la libertà l’hanno persa. Storie umane apparentemente molto diverse tra loro, che per alcune ore si incrociano, eliminando ogni diversità.
 
Già… perché quando gli uomini mettono fondo alle loro risorse fisiche e mentali, affrontandosi in una competizione leale, la loro storia personale non conta più nulla. Quegli uomini sono veramente uguali e uniti dall’unica cosa che è in grado di superare tutte le barriere umane: lo sport.
 
Ma questo evento non è stata solo corsa, è stata tante cose di più. E’ stata un momento di socializzazione, di dialogo, di speranza, che poi è anche l’unica cosa che può restituire all’uomo la sua dignità e la sua libertà. A questo proposito mi piace citare la frase pronunciata dal protagonista del film “Sulle Ali della Libertà”: “la paura ti rende prigioniero, la speranza può renderti libero”.
 
E tutti coloro che hanno preso parte a questo straordinario momento non hanno avuto paura. Non hanno avuto paura di confrontarsi, di correre insieme, di sfidare il caldo e le insidie del percorso, di soffrire, di ridere, di parlare, di applaudire, di bere e di mangiare insieme. Dentro quelle mura si è vissuto un momento di grande speranza e alla fine della giornata quelle mura erano un po’ più basse del normale e attraverso di esse si poteva intravedere l’orizzonte.
 
Il Vivicittà Rebibbia è stato poi un modo di ribadire il binomio tra podismo e solidarietà, la possibilità di unire una grande passione, come quella podistica, con una enorme motivazione, come quella solidale. Un evento che ha del miracoloso, perché supera tutte le difficoltà  e tutte le differenze. Una sorta di miracolo umano e sportivo i cui meriti vanno ascritti in parte alla UISP Roma e in parte alla volontà di Giovanni, un “podista solidale” che dentro Rebibbia ci lavora, e che ha speso molte delle sue energie nell’organizzazione di questa gara, disegnando e poi preparando il percorso. Era bellissimo guardare gli occhi di Giovanni alla fine della giornata; erano pieni di legittima gioia, di quella soddisfazione che solo gli uomini “ricchi dentro" possono provare quando sanno di aver realizzato qualcosa di importante: quegli uomini che fanno le cose con il cuore e non solo perché le devono fare.
 
Ma attenzione, l'aspetto sportivo di questa gara non può essere sottovalutato, con prestazioni importanti nonostante le difficoltà del percorso. Si è trattato di una gara vera, con la prova non competitiva dominata dagli atleti detenuti, e la competitiva ad appannaggio degli atleti “venuti da fuori”.
 
Ora seguendo il filo logico di questo grande racconto dovrei parlare della mia prova sportiva, su quanto questa prova possa aver contribuito alla mia "preparazione" verso la Maratona di Firenze. Invece non lo posso fare, perché a causa della mia allergia ho ritenuto saggio "abbandonare" dopo appena 4 km, affrontando il primo "ritiro" della mia giovane carriera podistica. Eppure sono certo che questo evento abbia fornito un grande contributo nel percorso verso Firenze, perché ha contribuito a dare valore al mio impegno podistico, rendendolo ancora più solido.

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domenica 3 aprile 2011

Alzati e Corri - Correre, correre, correre...

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Correre, correre, correre...
 
La febbre della Maratona comportò importanti modificazioni nel mio rapporto con la corsa. La frequenza dei miei allenamenti aumentò sensibilmente e la partecipazione alle gare divenne sempre più costante. Se nel mese di aprile avrei partecipato a 3 gare, nel mese di maggio sarei arrivato alla quota record di 6.
 
Le motivazioni correlate al mio obiettivo mi portarono a superare alcuni elementi che in un altro periodo della mia vita avrebbero funzionato come potenti dissuasori nei confronti dell'attività fisica. Tra questi l'allergia "stagionale", con i fenomeni asmatici correlati, e il caldo, che quell'anno si fece sentire già a partire dalla stagione primaverile. Caldo e allergia rappresentano certamente una combinazione disastrosa per un runner. La mancanza di aria per chi deve correre è come la mancanza di benzina per un automobile, perché l'ossigeno è il principale "carburante" del metabolismo aerobico, quello che caratterizza la disciplina della corsa. E' frustante girarsi per vedere chi ci sta seguendo, e solo allora realizzare che quel rumore percepito alle spalle non era altro che il rantolio dell'apparato respiratorio in piena crisi asmatica. Nel momento in cui percepisci di "andare a 3 cilindri", usando una comune metafora tratta dal mondo motoristico, devi esercitare tutta la tua forza di volontà per continuare a correre e non abbandonarti sulla prima panchina libera.

Il caldo mi aiutò anche nel percorso di "alleggerimento" riferito all'abbigliamento. Nella prima fase della mia esperienza di runner avevo corso con un equipaggiamento improbabile, molto "carico", più adatto a un esploratore antartico che a un runner. Con l'ingresso della primavera incominciai quel percorso di redenzione che mi portò a comprendere l'importanza di un equipaggiamento leggero e soprattutto tecnico, e questo non solo nelle stagioni calde.

Lo spirito di squadra che caratterizzava il gruppo della Podistica Solidarietà e gli obiettivi solidali che erano alla base della partecipazione alle gare, erano potenti motivazioni che, sommate all'obiettivo Maratona, mi aiutarono a superare quelle oggettive difficoltà correlate al periodo primaverile.
 
Mi ritrovai quindi a correre, correre, correre, sempre di più, completamente coinvolto in quel vortice emozionale che mi aveva fatto definitivamente archiviare il mio recente passato di "divanista aficionados".
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lunedì 28 marzo 2011

Alzati e Corri - Lo avevo fatto

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Lo avevo fatto
    
Sì, lo avevo fatto, avevo richiesto l’iscrizione alla Maratona di Firenze. Mi ero candidato ad affrontare la "regina" delle corse su strada: Maratona, solo il nome incuteva un certa paura. L’avventura per me era iniziata nel preciso istante in cui l’avevo concepita e sarebbe stata una mia compagna fedele da lì fino al momento in cui la stessa si sarebbe definitivamente realizzata.

Non ci sarebbe stato giorno in cui quel pensiero non avrebbe fatto capolino nella mia mente; qualche volta sarebbe apparso come un pensiero positivo, in grado di rallegrare la mia giornata, altre volte sarebbe apparso come un pensiero negativo, in grado di incrinare la mia fiducia sul buon esito dell’operazione. In ogni caso sarebbe stato un pensiero in grado di focalizzare tutta la mia attenzione.

Fu così che iniziai ad approfondire l’argomento per cercare di dominarlo, usando in fondo la stessa strategia già usata nel caso della Roma-Ostia; del resto correre una Maratona non era una cosa di tutti i giorni e quindi richiedeva anche una certa preparazione mentale. Appena pochi mesi prima consideravo la Maratona una specialità per “superuomini”, e ora mi ero inopinatamente associato a questa categoria di persone fuori dal comune senza però averne gli attributi.

Avevo bisogno di dimensionare la sfida per sentirla alla mia portata e quindi, seguendo un mio tipico schema mentale, dovevo riuscire a comprenderne ogni sfaccettatura.

Per tutti gli aspetti relativi alla preparazione atletica mi sentivo “in una botte di ferro”, potendo contare sull’aiuto del presidentissimo Pino Coccia, detto anche Pino Coach, ma una Maratona era qualcosa che andava oltre la preparazione atletica.

Iniziai a peregrinare tra la miriade di fonti disponibili su Internet, cercando di trovare un filo logico tra il “tutto” e il “contrario di tutto”. Già perché in quel percorso di approfondimento mi resi conto che si poteva correre una Maratona con strategie molto diverse fra loro, addirittura con strategie contrapposte. Mi addentrai in argomenti  molto tecnici e difficili da dominare, come quelli relativi all’alimentazione e all’integrazione, che risvegliarono tutto il mio interesse per la fisiologia umana.

La Maratona entrò a far parte della mia vita quotidiana e anche in quella di amici, colleghi, e familiari, costretti ad assecondare la mia “follia”. Anche se va precisato che l’idea che io, già proprio io, ricordato come un “divanista” convinto, uno sportivo occasionale ed incostante, avessi deciso di lanciarmi in una sfida così ambiziosa, stimolava la loro curiosità, incoraggiando le domande più disparate. Alcune di queste domande dimostravano la scarsa conoscenza che la maggior parte del persone avevano di una disciplina che dal punto di vista mediatico non è certamente “sotto la luce dei riflettori”. 

In questo contesto la domanda più scontata e disarmante che si può rivolgere a un maratoneta o, come nel mio caso, a un aspirante tale, è:  “Ma quanti km sono una Maratona?”.  Segue la faccia sorpresa di fronte a quel “42” sparato con una punta di malcelato orgoglio come risposta a questa domanda.  Nel mio caso poi la sequenza prevedeva anche la seconda domanda di rito, ancora più disarmante della prima: “E quella di Firenze?”. Sempre “42”, tutte le Maratone sono lunghe 42 km, anzi, per essere più precisi, “42,195”. Una precisione che l’interlocutore normalmente interpreta come “pignoleria”. Avrei invece scoperto sulla mia pelle, che citare quel “virgola 195” non è una pignoleria, ma una doverosa operazione di verità: perché sono i 195 metri più lunghi della vita di un maratoneta.
     
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domenica 27 marzo 2011

Alzati e Corri - Una Maratona a portata di click

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Una Maratona a portata di click
    
Quando? Questa domanda risuonava nella mia mente in una forma che potrei definire ossessiva. Consultavo frequentemente il calendario podistico in cerca di un'ispirazione e in questa ricerca la mia attenzione tendeva a focalizzarsi sulla Maratona di Firenze, schedulata per l'ultima domenica di novembre.
 
Firenze, per ragioni di carattere personale, esercita sempre un'attrazione forte nei miei confronti e l'idea di affrontare una prova così ardua in un ambiente a me familiare mi appariva come una condizione ideale. Inoltre, il fatto che mancasse ancora così tanto tempo al suo svolgimento era un elemento per me molto rassicurante.
 
Scorrevo continuamente quel calendario, analizzando le tante Maratone che lo popolavano e cercando l'ispirazione definitiva. Alla fine però tutte le mie analisi sembravano convergere sulla Maratona di Firenze.
 
Mi mancava il coraggio per trarre la doverosa conclusione e richiedere l'iscrizione a questa prestigiosa Maratona, la seconda in Italia per partecipazione, dopo quella di Roma. In fondo bastava un semplice click per "superare il Rubicone" e dare ufficialmente il via a questa nuova avventura.  
 
C'era qualcosa che mi bloccava e mi impediva di farlo, ma l'attrazione cresceva giorno dopo giorno. Guardavo continuamente le foto della Maratona di Roma, soffermandomi su quel senso di sofferenza misto gioia che potevo leggere nei volti dei miei compagni di squadra immortalati a pochi metri dall'arrivo. Sentivo che avevo una grande voglia di vivere in prima persona quelle stesse emozioni. Eppure non riuscivo ad andare fino in fondo e cliccare sulla voce "Mi voglio iscrivere a questa gara".
 
Fu un elemento che potrebbe apparire insignificante a forzare la mia decisione. In una delle tante riflessioni che facevo intorno alla Maratona di Firenze soffermai la mia attenzione sulla data. Fino a quel momento avevo letto quella data in modo generico, come l'ultima domenica di novembre, mentre quel giorno notai che quella data era il 27 di novembre.
 
Vi avevo già detto che in questa storia le date sono importanti e quel 27 novembre aveva un valore altamente simbolico per me. Il mio primo goffo tentativo di correre era datato 27 novembre del 2010 e la Maratona di Firenze si correva il 27 novembre del 2011, esattamente un anno dopo. Come potevo sottovalutare questo curioso elemento?
 
Non avevo più scuse, dovevo farlo. L'esordio in Maratona era lì a portata di un semplice click e io non potevo o semplicemente non volevo tirarmi indietro. La mia mano guidò decisa il mouse su quel pulsante che era sempre lì in attesa della mia decisione. Click. Lo avevo fatto, avevo dato il via ad una nuova avventura. Mancavano ancora 8 mesi, ma quella sfida la sentivo molto vicina, anche troppo.
 
Quel pensiero avrebbe accompagnato ogni mia giornata, fino a quel 27 novembre.
     
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domenica 20 marzo 2011

Alzati e Corri - Galeotto fu l'incontro

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Galeotto fu l'incontro
    
La Roma-Ostia era stata per me fonte di grande soddisfazione, ma il dolce sapore di quel successo aveva al contempo combinato un vero e proprio "disastro" perché aveva generato un salto di qualità rispetto alla mia passione per la corsa.
 
Ormai ero completamente entrato "in fissa" per questo sport e le mie partecipazioni alle gare si facevano più frequenti. Mi sentivo sempre più integrato con il mio team e questo rendeva ancora più divertente la mia partecipazione alle gare. Il pre-gara e il post-gara sono due importanti momenti di socializzazione che creano un clima di grande coinvolgimento. Cominci a sentirti un elemento importante del gruppo e quindi quando decidi di non partecipare a una gara ti sembra quasi di tradire i tuoi compagni. Nella Podistica Solidarietà esiste poi una relazione diretta tra premi di società vinti e donazioni effettuate e quindi la partecipazione a una gara è qualcosa di più di una questione sportiva, diventando di fatto una questione solidale. Infatti i premi di società vengono vinti secondo un criterio quantitativo di partecipazione e, in alcuni casi, un atleta in più o in meno può fare la differenza. Sapere che la tua corsa può trasformarsi in una "donazione" a un'associazione con finalità benefiche rappresenta una grande motivazione.
   
In ogni caso la "febbre della Roma-Ostia" aveva generato in me la voglia di pormi un nuovo obiettivo ambizioso e sfidante, un obiettivo che mi permettesse di vivere ancora quelle emozioni che avevano preceduto la mia partecipazione alla mezza maratona più prestigiosa d'Italia. 
 
Tre settimane dopo la Roma-Ostia a Roma si correva la Maratona di Roma, la più importante manifestazione italiana sulla distanza di 42.195 metri. Venni completamente "catturato" dal vortice di emozioni dei miei compagni di squadra e passai ogni momento libero a "navigare" nell'area social del sito della Podistica Solidarietà, leggendo tutti i commenti che riguardavano la Maratona di Roma. In modo particolare ero affascinato dai commenti inseriti dagli esordienti sulla distanza, i quali mostravano di essere in preda alla stessa "febbre" che mi aveva colpito prima della Roma-Ostia.
 
Questa volta però fui sufficientemente saggio da non lasciarmi coinvolgere al punto di giocare di azzardo e di buttarmi in quell'avventura. Folle sì, ma non fino a quel punto. In quei giorni maturai però la certezza che prima o poi avrei corso una Maratona. Non sapevo quando, non sapevo come, ma dovevo farlo, perché quella era la "madre di tutte le corse".
 
In prossimità di quella manifestazione alcuni atleti della nostra società avevano organizzato un incontro per trattare il tema della partecipazione alla Maratona da punti di vista diversi, in modo particolare dal punto di vista della preparazione atletica necessaria e dal punto di vista della preparazione mentale. Non me lo feci ripetere due volte e aderì immediatamente all'invito ricevuto via mail. Avevo bisogno di capire meglio cosa significasse realmente partecipare a una Maratona. Arrivai all'appuntamento carico di curiosità e mi ritrovai ad ascoltare gli interventi dei relatori con estrema attenzione. Sapendo di essere un "corridore di testa" e non "di gambe", venni completamente catturato dagli interventi di natura mentale e dalle vivaci discussioni che esse scatenarono. La relazione sulla preparazione atletica risultò invece scoraggiante perché secondo il relatore la partecipazione a una Maratona prevedeva un programma di allenamento che mi sembrava troppo difficile per le mie possibilità e anche per il tempo a mia disposizione.
  
Nonostante questo particolare aspetto, quando uscii dalla sala e ripresi la via di casa, ebbi la sensazione che uno strano ghigno si fosse scolpito sulla mia faccia. Ripassavo mentalmente i contenuti della relazione di Francesca, la psicologa che aveva trattato il tema della preparazione mentale, e mi sentivo sempre più attratto dall'idea di partecipare a una Maratona. Galeotto fu quell'incontro.
 
Domenica 20 marzo, il grande giorno della Maratona di Roma, mi alzai di buon ora e mi recai all'appuntamento dei nostri maratoneti, sulla scalinata di Colle Oppio, per vivere insieme a loro le grandi emozioni che circondavano questo evento. Non c'è miglior modo per ammalarsi che recarsi a un appuntamento con centinaia di persone malate e che fanno di tutto per trasmettere il loro virus, persone che non usano alcuna precauzione nei confronti dei loro amici ancora sani.
 
La Maratona è una grande festa di popolo e quindi è difficile non lasciarsi coinvolgere da questo tipo di manifestazioni. Fu così anche per me. Quando lasciai l'area della Maratona per tornare a casa ero ormai in preda alla "febbre della domenica mattina" e dentro la mia testa le domande che iniziavano con "se" avavano già ricevuto la loro risposta. Nella mia testa era rimasta una sola domanda, molto secca e puntuale: "Quando?". 
     
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lunedì 28 febbraio 2011

Alzati e Corri - I benefici sull'Autostima

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Approfondimento L'Autostima
    
Senza avere la pretesa di pormi nel ruolo dello psicologo, non ho alcun dubbio che l'altro fattore su cui ero in grado di trarre un bilancio positivo era connesso con il concetto di autostima. Torno quindi inevitabilmente su un tema già affrontato in modo professionale da Lorenzo Bianchi in un altro capitolo del libro, quello relativo alla motivazione.
 
Per Wikipedia "l'autostima è quel processo soggettivo e duraturo che porta il soggetto a valutare e apprezzare se stesso tramite l'autoapprovazione del proprio valore personale fondato su autopercezioni".
  
Più semplicemente direi che l'autostima è un sentimento di apprezzamento per la propria persona a cui si riconosce la capacità di porsi obiettivi sfidanti e di raggiungerli. La stima verso noi stessi ci aiuta a vivere meglio e ci rende più efficaci perché ci consente di affrontare ogni difficoltà con sufficiente energia e convinzione.
 
Nel mio caso specifico, in un momento della mia vita dove alcune certezze erano state messe in discussione e dove la fiducia in me stesso si era incrinata, la corsa mi aveva restituito una piena fiducia nei miei mezzi, anche perché mi aveva permesso di raggiungere importanti obiettivi in una settore, quello dello sport, in cui mi sentivo particolarmente "debole", anche perché in questo campo non ero mai riuscito a raggiungere risultati apprezzabili. Lo sport era stato per me fonte di una serie di delusioni dovute soprattutto alla mia "incostanza" e quindi proprio alla mia incapacità di raggiungere risultati, arrendendomi spesso al primo ostacolo.
 
La corsa era sempre stata una sorta di argomento tabù, anche perché ogni volta che avevo tentato di approcciare questa disciplina, mi ero arreso dopo pochi metri. Insomma, ero uno di quelli che aveva metabolizzato la propria incapacità di correre e che aveva giustificato se stesso con una serie di "convinzioni limitanti" come quella che la corsa non mi piacesse oppure che non era compatibile con i miei problemi fisici. In appena 90 giorni questo insieme di limiti era stato finalmente "demolito" e questo mi aveva restituito fiducia sulle mie qualità individuali, e non solo nel settore della corsa o dello sport, ma in senso generale.
  
I maggiori benefici sull'autostima sono stati generati soprattutto dalla partecipazione alla Roma-Ostia, dal raggiungimento del traguardo di questa mia prima 21 km. Il traguardo della Corsa di Miguel, aveva rappresentato per me un risultato eccezionale, ma nei due mesi di allenamento che avevano preceduto l'evento ero riuscito a farmene "una ragione". Avevo avuto un approccio "progressivo" e quindi mi ero pian piano convinto che si trattasse di una sfida alla mia portata. E poi da qualche parte avevo letto che la partecipazione a una 10 km veniva considerato "il test del moribondo", perché il non riuscire a completare una corsa di 10 km in un'ora era proprio la dimostrazione del degrado fisico indotto dalla sedentarietà.
  
La Roma-Ostia era invece arrivata senza alcun preavviso, come un fulmine a ciel sereno. Non avevo avuto il tempo di abituarmi alla distanza, all'idea di poter correre per 21 km di seguito, da Roma a Ostia. Tutto questo aveva assunto per me il valore di una sfida memorabile e solo il fatto di averla superata mi aveva dato una grande carica che avrei poi utilizzato in tutti gli ambiti della mia vita.
     
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Alzati e Corri - I benefici sul controllo del peso

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Approfondimento I benefici sul controllo del peso
    
Non ho voluto aprire questo racconto con un capitolo dedicato ai benefici della corsa, come da “manuale”. E questo perché l’intento di questa “storia” non è certo quello di rappresentare un trattato teorico sulla corsa, anche perché non avrei i titoli per scriverlo, ma solo quello di condividere un’esperienza, con tutto quello che ne è derivato.
    
Una persona che approccia la corsa per la prima volta dopo un lungo periodo di inattività, come accaduto a me, non può certo aprire il suo racconto descrivendo i benefici della corsa, anche perché all’inizio è difficile riuscire a rendersi conto di quello che stia realmente accadendo al proprio corpo e alla propria mente. Le cose che si realizzano alla prime uscite sono soprattutto la fatica, e anche i dolori che si diffondono rapidamente nei muscoli delle gambe e nelle articolazioni. In questa fase ci si chiede spesso “ma chi me lo fa fare”, ma si continua a correre nonostante questi pensieri negativi, trainati da una grande motivazione collegata a una generica aspettativa di migliorare il proprio stato di benessere. Ci si aspetta da un momento all’altro di cominciare a volare, anche se all’inizio ci si ritrova spesso ad arrancare faticosamente.
  
Ora però, dopo 3 mesi di pratica podistica e una Mezza Maratona completata, potevo già trarre un primo bilancio credibile rispetto alle proprietà benefiche della corsa. Il primo settore su cui mi sembra doveroso riflettere è quello legato all’uso della corsa all’interno di una  strategia di controllo del peso, che poi è stata la principale “molla” che, almeno nella fase iniziale mi ha spinto a correre. In questo credo di essere in buona compagnia, perché sono ragionevolmente certo che una percentuale molto alta di runner che hanno iniziato a correre in età adulta, condivideva questa idea di base, e cioè che attraverso la corsa si potesse “perdere peso” oppure si potesse  mantenerlo con maggiore serenità, evitando rigidi schemi alimentari. 
  
A confermare questa certezza, la frequentazione dei tanti gruppi di runner presenti sui vari social network,  dove abbondano foto di pranzi luculliani con didascalie che esaltano il rapporto funzionale tra corsa e cibo. “Dopo una corsa di 2 ore, posso godermi questa meravigliosa Carbonara”…il web abbonda di frasi di questo tipo, quasi che il vero obiettivo di una corsa non fosse quello di raggiungere il traguardo, ma quello di “mettere i piedi sotto un tavolino” e rimpinzarsi di cibarie di ogni tipo. Ricordo di aver partecipato a un seminario focalizzato sugli aspetti motivazionali della corsa. Lo psicologo che conduceva i lavori aveva chiesto ai runner presenti di sintetizzare in una frase la motivazione principale per cui correvano. Molti tra i presenti avevano risposto esprimendo un’associazione diretta tra corsa e cibo. La possibilità di mangiarsi una lasagna senza complessi di colpa, sembrava essere la principale motivazione che spingeva tanti adulti a trasformarsi in runner assidui.
   
Rispetto al controllo del peso, dopo 3 mesi di attività, potevo dichiararmi soddisfatto, perché la corsa aveva contribuito a fermare una pericolosa deriva verso l’obesità. La determinazione a invertire la tendenza aveva in qualche modo preceduto la mia decisione di iniziare a correre, ma la corsa aveva contribuito ad accelerare il processo di perdita del peso, facendomi velocemente rientrare in una fascia di peso “accettabile”, anche se ero ancora lontano dal mio peso forma. Soprattutto mi aveva aiutato a perdere "massa grassa" a vantaggio della "massa magra", cioè la struttura muscolare, elemento determinante per chi pratica uno sport, molto più della perdita di peso complessivo.
Sulla base della mia esperienza, oggi non nutro alcun dubbio rispetto alla relazione positiva che lega la corsa con le strategie di controllo del peso.

Ma sempre in base alla mia esperienza personale, posso altresì affermare con convinzione che è invece illusorio pensare che la corsa rappresenti di per se stessa la panacea nei confronti della gestione del peso corporeo. Al momento in cui ho deciso di scrivere questa storia, come già detto in apertura, la mia battaglia contro il peso prosegue tra alti e bassi, con il classico approccio “yo-yo”. Il mio metabolismo sembra ancora seguire quel ritmo impazzito che ha caratterizzato gran parte della mia esistenza da adulto.
 
La corsa da sola non può indirizzare il problema di quelli come me, di quelli che da anni si battono contro la loro tendenza ad acquisire peso, ma deve essere sempre abbinata a un regime alimentare nutrizionalmente corretto, riducendo al minimo gli eccessi. 

La corsa quindi è un valido sostegno in una corretta strategia di controllo del peso, ma da sola non è in grado di operare miracoli, anche perché questa erronea convinzione genera uno degli errori più comuni del runner affamato: quello di mangiare molto di più grazie all’alibi della corsa che “pulisce la nostra coscienza”. La convinzione di aver fatto il “proprio dovere” ci fa sentire autorizzati ad eccedere, con la conseguenza che il peso non diminuisce e in alcuni casi tende ad aumentare.
  
Del resto il rapporto tra la corsa e il cibo va letto anche al contrario. Nel momento che si prende la decisione di correre bisogna aumentare la propensione a mantenere uno stile di vita sano caratterizzato da una nutrizione equilibrata. Perché una buona nutrizione ci permette di ottenere il massimo beneficio dalla corsa, facendoci entrare in un circolo virtuoso orientato al benessere. Una buona di nutrizione ci farà sentire meglio e quindi ci permetterà di correre e di allenarci al meglio, e questo ci aiuterà a mantenere il nostro peso corporeo all’interno di una fascia ottimale. A sua volta, questo stato di rinnovata energia, ci aiuterà a correre al meglio.
     
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domenica 27 febbraio 2011

Alzati e Corri - Di gambe oppure di testa?

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Di gambe oppure di testa?
    
Nei giorni successivi alla Roma-Ostia, i commenti alla mia “prestazione”, che poi erano soprattutto messaggi di congratulazioni, finirono per rianimare quel dibattito che era già iniziato prima della mia decisione di partecipare. Questo dibattito era solo lo strato superficiale di una disputa più profonda che divideva in due i runner: la reale questione era se la corsa fosse uno sport di gambe oppure di testa.
   
Come in tutti i dibattiti che si rispettano si erano create due correnti di pensiero, quella dei “gambisti” e quella dei “sentimentalisti”: i primi mi avevano sconsigliato la partecipazione, soprattutto perché non avevo nelle gambe i chilometri necessari per una mezza maratona; i secondi mi avevano invitato a partecipare, spingendomi a fare completo affidamento sulla “voglia di farcela”.
  
Queste due posizioni furono ben sintetizzate dall’autorevole intervento di Antonio che in qualche modo aveva formalizzato l’esistenza di entrambe le categorie di podisti, e quindi in sostanza aveva lasciato a me il compito di dirimere la questione partecipazione o meno, decidendo a quale categoria volessi appartenere.
  
Chiaramente, non essendo un grande atleta e non potendo in generale contare sulle mie “gambe”, avevo deciso di schierarmi nella seconda categoria, di assecondare la mia voglia di partecipare, contando poi sui tanti consigli ricevuti, in modo particolare quelli del Presidente Pino Coccia, per costruirmi una strategia che mi permettesse di raggiungere l’agognato lungomare di Ostia.  

Quindi avevo fatto una gara di “testa” sfruttando le due componenti che nella testa risiedono, la componente emozionale, quelli che molti identificano nell’anima o nel cuore, ma che realmente risiede nel nostro cervello, e la componente razionale, che mi aveva aiutato a gestirmi durante il percorso.
  
Dopo la Roma-Ostia ero arrivato alla logica conclusione che la testa giocasse un ruolo decisivo, altrimenti non sarei mai riuscito ad arrivare al traguardo e senza mai smettere di correre, se non qualche secondo in corrispondenza dei ristori. Le mie gambe non avevano l’autonomia necessaria per correre la Roma-Ostia, ma questa mancanza era stata compensata dalla voglia di farcela e da una gestione intelligente del percorso.
  
Questa conclusione mi porta oggi a rafforzare la convinzione che la maggior parte dei limiti che ci impediscono di raggiungere alcuni traguardi risiedono nella nostra testa. Con questo non voglio certo affermare che la corsa sia soltanto una questione di testa, perché le gambe, e con questo intendo anche l’apparato muscolo-scheletrico, l’apparato respiratorio e quello cardio-vascolare, giocano comunque un ruolo importantissimo, anche se più legato alla “prestazione” e quindi al ritmo con cui si corre. In ogni caso la motivazione, la voglia di farcela, di superare l'ostacolo, sono componenti essenziali, che ci permettono di "alzare l'asticella" qualche centimetro più in alto di quanto avessimo mai fatto in precedenza.
  
Sul piano della “prestazione” la mia prova chiaramente non era stata esaltante, visto che il cronometro aveva registrato all’arrivo un tempo di 2h:21’:02”, ma, considerate tutte le premesse, potevo giudicarmi soddisfatto anche del fattore tempo. In fondo, anche le mie gambe, ben guidate dalla testa, avevano fatto fino in fondo il loro dovere.
     
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Alzati e Corri - La Regina delle Mezze

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo La Regina delle Mezze
    
La sveglia mise fine a una notte molto agitata, ma la notte in realtà non era ancora finita, perché fuori era ancora buio pesto. 
   
Guardai tutto il mio equipaggiamento in bella mostra sul tavolo del soggiorno e la mia attenzione si soffermò sul pettorale numero 9151, la prova che quella sfida era reale. Lasciai casa che ancora non aveva albeggiato e andai a prendere la mia amica Laura, anche lei all’esordio sulla distanza. Ci dirigemmo verso il Palasport dell’Eur, luogo del ritrovo di questa manifestazione; l’appuntamento con il gruppone orange della Podistica Solidarietà, era nei pressi dell’ospedale Sant’Eugenio. Depositammo la borsa con il cambio nei pullman organizzati dalla società, i quali poi si sarebbero diretti verso Ostia per poi attendere "speranzosi" il nostro arrivo. Quell’idea del pullman pieno che attendeva nervosamente il mio arrivo rappresentava per me un motivo di grande agitazione, ma quando raggiunsi i miei compagni di squadra cercai di mostrare il mio “sorriso migliore”, celando il mio stato di nervosismo. Del resto quei momenti di “goliardia” collettiva prima della gara dovevano essere un modo per “ricordare” a tutti, a me per primo, che al di là dei propri obiettivi personali, la corsa amatoriale era un esercizio di puro divertimento.  
  
Quel senso di ritrovata serenità non durò molto. Una volta raggiunta la “griglia di partenza” fui colto da un nuovo stato di agitazione. Mi guardavo intorno e mi sentivo assolutamente inadeguato e   continuavo a chiedermi come mi fosse venuto in mente di partecipare alla Roma-Ostia ad appena 3 mesi dal mio primo allenamento podistico, un allenamento durato appena 21 minuti. Per me la "griglia di partenza" era rovente come quella di un barbecue...e in questo caso la "carne" ero io.

Il momento dei rimpianti era però finito: ero in ballo e dovevo ballare. Anzi, per essere più preciso, ero nella griglia di partenza e dovevo partire. Ricordo ancora perfettamente il momento in cui il lungo “serpentone” dei podisti si mosse, prima lentamente e poi sempre più velocemente. Ricordo l’emozione di vedere quel fiume multicolore che scendeva verso l’Eur, mentre lo speaker "caricava" tutti con le sue parole.
   
La presenza di Laura accanto a me era al contempo motivo di tranquillità e di preoccupazione. Tranquillità perché rappresentava una presenza “amica” in una situazione “difficile”, preoccupazione perché sapevo che per arrivare ad Ostia dovevo essere molto prudente, e seguendo Laura rischiavo di farmi trascinare dal suo “ritmo”, senza dubbio più veloce del mio.  
        
Il giro all’interno dell’Eur era ormai finito ed eravamo pronti a lanciarci verso la Cristoforo Colombo.  Mi sentivo come una barca che molla gli ormeggi e si avvia verso il mare aperto, perdendo le ultime sicurezze. Il punto di non ritorno, il bivio che separava i percorsi della prova competitiva e della non competitiva, si stava avvicinando. A sinistra c’era il porto, mentre a destra c’era il mare aperto. Ignorai quella “vocina interiore” che mi consigliava di tornare al molo e mi diressi verso il mare aperto, verso la Cristoforo Colombo, verso Ostia.
   
Trascinato dal "serprentone" mi ritrovai sulla Cristoforo Colombo, ma per la prima volta nella mia vita senza un mezzo motorizzato. Laura accese il suo iPod e smise di parlare. Io approfittai della situazione per lasciarla andare e continuare da solo la mia avventura. 
  
Le cose procedevano così come le avevo immaginate nelle mie “visualizzazioni” notturne.  Affrontai  la temibile salita del “campeggio”  senza particolari sofferenze e senza smettere di correre. Arrivato in vetta alla salita ebbi un momento di incertezza, quando il mio sguardo vide il tracciato che ancora mi separava dall’ambito traguardo: una lingua di asfalto immersa tra gli alberi che sembrava non finire mai. 
   
Feci un rapido check-up mentale, il cui esito risultò soddisfacente. Nonostante avessi raggiunto e superato la distanza limite di 10 km, mi sentivo ancora discretamente bene.  Raggiunsi anche il secondo ristoro, e mi inoltrai verso il mio prossimo obiettivo: il ristoro del 16°. Sapevo che quello era un passaggio dirimente, perché oltre quel punto nessuno mi avrebbe più potuto fermare.   
 
La stanchezza mi colse all’improvviso facendomi vacillare. Cercavo con lo sguardo la bandiera che segnalava il chilometro successivo. Ecco il 13’, poi il 14’, il 15’ e finalmente il 16’. A meno di mezzo chilometro di distanza potevo vedere la presenza degli addetti al ristoro. A 100 metri dalla meta cominciai a camminare. Presi acqua, Sali minerali e soprattutto alcuni spicchi di arancia, che mi regalarono un senso di autentico sollievo.
  
Ripresi a correre, superando la bandiera del 17’ chilometro e cercando visivamente quella del 18’. Il tempo sembrò fermarsi e le distanze allungarsi, la testa cominciava a ribellarsi e a dare chiari segnali di cedimento. Superai la bandiera del 19’ chilometro mentre la strada tornava a salire, un falsopiano inatteso e mai visualizzato, che rischiava di mandare in crisi le mie strategie. Le gambe erano sempre più pesanti ma resistetti alla tentazione di smettere di correre perché sentivo che la destinazione si stava avvicinando inesorabilmente. Le grida di incoraggiamento delle persone che si trovavano ai lati della Colombo, sempre più numerose mi fornivano delle dosi di energia supplementare con le quali mi trascinavo avanti, ancora avanti, fino a raggiungere la bandiera del 20’ chilometro.
  
Raggiunsi la vetta del falsopiano e davanti ai miei occhi si spalancò l’immagine del mare aperto, che stavolta non rappresentava l’ignoto, ma la certezza di aver raggiunto la meta. In quel momento un urlo improvviso mi distolse dai miei pensieri. “Dai Maurizio, ce l’hai fatta” , era la voce del Presidente Pino Coccia, che mi guardava da dietro il suo obiettivo. Era lì, su un lato della strada a fotografare tutti gli atleti della Podistica Solidarietà che arrivavano al traguardo.
   
Ancora oggi rivedo con piacere quelle foto, soprattutto quel sorriso che esprimeva un grande gioia, la gioia di avercela fatta. Avevo “sofferto” molto per arrivare a quel punto, ma la soddisfazione di aver raggiunto quel risultato aveva spazzato via tutto. 
   
Iniziai l’ultimo tratto, psicologicamente complesso, perché prima di arrivare al traguardo era necessario fare un ampio giro sul lungomare, voltando inizialmente le spalle al traguardo per poi invertire la marcia. Guardai il traguardo avvicinarsi con un senso di grande emozione che si trasformò in commozione quando il mio sguardo si alzò verso il cielo e il mio pensiero andò inevitabilmente ai miei genitori. 
   
Ce l’avevo fatta, avevo affrontato le mie paure, i miei limiti fisici e mentali e...avevo vinto. La medaglia che un componente dello staff mi mise al collo, fu il segnale tangibile della mia “riscossa”: ero passato, in soli 3 mesi, dal divano al traguardo della Roma-Ostia, di una mezza Maratona, correndo ininterrottamente per 21.095 metri.
  
Il mio ultimo incubo svanì quando raggiunsi i pullman della Podistica Solidarietà. Gli atleti orange erano ancora tutti a terra a commentare le loro prestazioni. Non c’era nessuno ad aspettarmi nervosamente e non ero neanche l’ultimo atleta in canottiera orange ad arrivare al traguardo. Fui accolto da grandi sorrisi e da pacche sulle spalle. In quel momento ero al settimo cielo, e sempre più “impallinato” per la corsa.
   
Ero ancora distrutto, ma nella mia mente già affiorava la voglia di tentare una nuova sfida!
     
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venerdì 25 febbraio 2011

Alzati e Corri - La vigilia

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo La vigilia

Fu una settimana decisamente adrenalinica; il pensiero era costantemente rivolto a questa nuova sfida, certamente azzardata rispetto alle mie capacità atletiche. Mi sentivo come uno che con un po’ di leggerezza avesse accettato di giocare alla roulette russa, per poi realizzare tutte le possibili implicazioni negative della sua scelta.
    
Passai le mie sere a studiare il percorso e le notti a visualizzarlo nei miei sogni: mi sembrava di conoscerne ogni metro, come un veterano che l’avesse già corsa decine di volte. Avevo mentalmente diviso l’intera distanza di 21.097 metri in quattro segmenti, delimitati dai tre ristori, il primo, dopo 5650 metri, il secondo, dopo 11.100 metri, il terzo, dopo 16.500 metri. Avevo deciso che mi sarei concentrato sempre sul ristoro successivo, come se la mia corsa finisse lì. Mi ero anche convinto che il vero sforzo per me fosse quello di raggiungere l’ultimo ristoro, quello del 16’ km, perché a quel punto niente e nessuno avrebbe potuto più fermarmi, avrei raggiunto il traguardo anche a a costo di “strisciare sui gomiti”.
   
Avevo poi sezionato ogni metro della salita più ardua della Roma-Ostia, la "salita del camping", una salita dalle dolci pendenze, ma sufficientemente lunga da “tagliare” la gambe a coloro che l’affrontano senza rispetto.  La fine di questa salita coincideva con la metà del percorso e passare in buone condizioni questo “punto critico” mi avrebbe permesso di porre un’ipoteca sul risultato finale.
  
In quella settimana avrò corso mentalmente la Roma-Ostia numerose volte, e anche quando “sgambettavo” nel Parco delle Sabine, mi sembrava di essere circondato dai gli alti pini, che dominano la Cristoforo Colombo. 
 
Il venerdì arrivai trepidante al villaggio della Roma-Ostia, dove avrei vissuto la ritualità collegata al ritiro del pettorale e del pacco gara, in un contesto che ti faceva percepire tutto il “valore” di questa gara. Avevo offerto la mia collaborazione alla Podistica Solidarietà come presenza al desk dedicato agli atleti orange. Il pomeriggio passato al desk mi permise di approfondire la conoscenza di molti personaggi che animano le attività di questa società, ma soprattutto mi diede l'opportunità di "respirare il clima" della Roma-Ostia: una vera e propria full-immersion. La sera a casa, mentre osservavo affascinato il pettorale numero 9154, il mio numero, ripensai a tutti i frammenti di discorsi “tecnici” catturati al desk e cercai di trarne il maggiore vantaggio possibile.
   
Era però intervenuto un elemento di disturbo inatteso: il pullman. Avevo infatti prenotato un posto in uno dei pullman organizzati dalla Podistica Solidarietà per riportare i propri atleti a Roma alla fine della gara. Era la soluzione tecnicamente più praticabile e avevo prenotato il mio posto senza pensarci più di tanto. Solo successivamente avevo realizzato che i pullman erano chiaramente “costretti” ad aspettare l’arrivo di tutti gli atleti prima di riprendere la via di Roma. In quel momento si materializzò nella mia mente un’immagine terribile: il pullman pieno, con i motori accesi, le faccia spazientita dell’autista e io, l’ultimo atleta, che salivo e raggiungevo l'unico posto libero, seguito nel mio movimento dagli sguardi torvi di tutti i presenti. Quell’immagine angosciante cominciò a turbare le mie notti, aumentando la mia agitazione complessiva. 
    
In ogni caso, il tempo delle riflessioni era finito, la Roma-Ostia era diventata ormai una sfida reale e non più immaginaria. Preparai tutto il necessario, controllando ogni dettaglio più volte, in preda alla classica sindrome del “gas chiuso”. Andai a letto nella consapevolezza che sarebbe stato difficile dormire: l’adrenalina scorreva a fiumi e i pensieri si alternavano vorticosamente nel mio cervello. E su tutti i pensieri prevaleva sempre l’incubo del pullman.
     
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sabato 19 febbraio 2011

Alzati e Corri - Il virus della Roma-Ostia

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Il virus della Roma-Ostia
   
Roma-Ostia, Roma-Ostia, Roma-Ostia…il virus mi aveva contagiato e ora si diffondeva a rapidità supersonica nelle mie cellule celebrali, impregnando tutti i miei pensieri.
  
Roma-Ostia, Roma-Ostia, Roma-Ostia…rientrato a casa dimenticai ogni altra incombenza e mi tuffai nella “rete” alla ricerca di informazioni su questa gara. E fu per me un duro colpo scoprire in questo modo l’esatto significato del termine “half-marathon”, inequivocabilmente associato alle altre due paroline magiche che dominavano ormai la mia mente: Roma-Ostia Half Marathon, 21097 metri, né uno di più, né uno di meno.
 
Roma-Ostia, Roma-Ostia, Roma-Ostia…la potente azione del virus mi impediva di “mollare la presa” nonostante quella distanza apparisse ai miei occhi come un obiettivo “impossibile”. Capisco che il linguaggio della pubblicità stesse imponendo l’idea che “impossible is nothing”, ma la mia componente razionale mi portava a pensare che, se è vero che il “cuore” a volte è in grado di spingerci oltre i nostri limiti, è altresì vero che c'è un limite a tutto.
   
Come potevo passare, in appena due settimane, dalla stentata capacità di arrivare con la “lingua di fuori” al traguardo di una 10 km, a completare una gara con un percorso lungo più del doppio? E non si può sottovalutare quel “più”, perché quando si è ai limiti della propria resistenza, quei 1097 metri in più rispetto al doppio sono un’enormità.
  
Roma-Ostia, Roma-Ostia, Roma-Ostia…condivisi il mio conflitto interiore tra la parte emotiva e la parte razionale nell’area commenti del sito della Podistica Solidarietà, con un commento che si concludeva con la storica domanda: CHE FARE? Si scatenò un dibattito che sorprese anche me e che evidenziò un’enorme spaccatura tra due tipologie diverse di podisti: i “podisti emotivi” e i “podisti razionali”. Il sito tracimò, travolto dalla voglia di gran parte della comunità orange di esprimere la propria opinione.
  
Nello schieramento dei “podisti emotivi”, quello del “non ci pensare…segui il tuo cuore…buttati”, si distinsero alcuni personaggi, come Daniela Paciotti e Giuseppe Di Giorgio, che meriterebbero un capitolo a parte (che prima o poi scriverò) per il loro modo di interpretare la corsa. A mediare tra queste due “mentalità” ci pensò l’onnipresente Presidente Pino Coccia, che in qualità di “coach” mi suggeriva di aspettare l’anno successivo, mentre in qualità di “podista appassionato” lasciava "aperta una porta" alla mia partecipazione.
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Il suggerimento di Pino era quello di fare almeno un tentativo di superare la soglia dei 10 km in allenamento, cercando di farne almeno 15, così da poter valutare la reazione del mio fisico. Mi sembrò un ragionamento molto sensato, e così programmai il tentativo per il sabato successivo.
 
Mi presentai al Parco delle Sabine, insieme al mio amico Umberto, determinato a raggiungere il mio super-obiettivo: correre per almeno 90 minuti. La mia corsa procedette tranquilla per 50 minuti, nei quali, nonostante la fatica e il respiro affannato, riversai sul mio compagno di corsa tutte le informazioni che avevo appreso intorno alla Roma-Ostia. Lui mi ascoltava, ma sembrava "vaccinato" contro da ogni possibile contagio, e, ad ogni mia esternazione, continuava a scrollare la testa come a voler sottolineare la mia follia
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Superata la soglia dei 60 minuti il mio entusiasmo crollò rapidamente, perché il mio fisico sembrava aver ingaggiato un’estenuante battaglia con la mia testa, mandando dei segnali di stanchezza molto chiari, segnali che con il passare dei minuti si trasformarono in fitte di dolore che attraversavano ogni mia fibra muscolare.
  
Alla soglia dei 70 minuti crollai miseramente e iniziai ad alternare corsa e cammino, anche se la mia corsa era diventata così pesante, che ad un osservatore esterno sarebbe stato impossibile distinguere le due fasi: mi stavo letteralmente trascinando. Mancavano ancora 5 minuti al raggiungimento dell’obiettivo, quando il mio fisico si rifiutò di proseguire in quella "tragedia" e mi impose lo stop definitivo. Stravolto dalla stanchezza e deluso dalla mia incapacità di arrivare fino all’obiettivo che mi ero posto, mi affrettai a mandare un sms al Presidente, con il quale rinunciavo ufficialmente alla partecipazione alla Roma-Ostia. Mi sentì in qualche modo sollevato, pensando di essere guarito dal contagio, perché la mia testa ormai rifiutava anche il solo pensiero di correre una mezza maratona.
   
Tutto finito? Neanche per sogno. Dopo mangiato mi sdraiai sul divano con le gambe ancora doloranti, ma dopo un paio d’ore, rimettendo i piedi in terra, mi resi conto che i dolori erano spariti e  che mi sentivo decisamente meglio, sia sul piano muscolare sia sul piano mentale.
  
Roma-Ostia, Roma-Ostia, Roma-Ostia, il virus aveva ripreso la sua diffusione. Ricordai che Pino mi aveva detto di valutare la reazione del mio fisico durante la corsa, ma soprattutto nella fase di recupero. La corsa era stata un disastro, ma il recupero era stato superlativo, inaspettato. Avevo immaginato di rimanere bloccato a letto per un paio di giorni, invece dopo due ore ero lì che “saltavo come un grillo”.
  
Tornai sul social network della Podistica Solidarietà e raccontai la mia esperienza ottenendo n’ondata di messaggi di incoraggiamento. I “razionali” si erano arresi e avevano smesso di commentare, lasciando tutto lo spazio agli “emotivi”. Mandai un nuovo sms al Presidente, chiedendogli se c’era ancora un pettorale libero. La risposta fu affermativa.
  
Un nuovo “dado era stato tratto”, il conto alla rovescia era partito: avrei corso la Roma-Ostia.
     
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domenica 13 febbraio 2011

Alzati e Corri - Corriamo al Collatino

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Corriamo al Collatino
   
Erano passate appena due settimane dalla Corsa di Miguel, quella che in teoria sarebbe dovuta essere la mia prima e unica corsa, ed ero nuovamente pronto ad affrontare una gara di 10 km. Non era solamente "la corsa", nella sua accezione più generale, ad essersi impossesata di me, ma anche quel clima agonistico che avevo respirato per la prima volta proprio alla Corsa di Miguel. 
  
Nella mia vita avevo mai praticato uno sport individuale a livello agonistico, e le sensazioni che avevo provato alla Corsa di Miguel erano risultate completamente nuove, una sorta di scoperta, e ora avevo voglia di provarle ancora. 
  
La sveglia suonò molto presto quella domenica, un'esperienza che da quel momento avrei vissuto sempre più spesso. 
  
Appena arrivato sul luogo del misfatto, ebbi la sensazione che nell'aria ci fosse qualcosa di diverso rispetto alla precedente esperienza: avevo vissuto la Corsa di Miguel come un grande evento sportivo, e ora percepivo la Corriamo al Collatino come una "corsa competitiva". Una differenza non semplice da spiegare a chi non corre, ma che forse i runner più esperti potranno arrivare ad apprezzare. Alla Corsa di Miguel avevo visto tanti runner come me, nei cui occhi potevo leggere la mia stessa preoccupazione e anche un certo disorientamento; alla Corriamo al Collatino, guardandomi intorno, mi ero sentito "un alieno". Negli occhi degli altri runner c'era una tensione diversa, tutta orientata alla prestazione.  
  
Mi avvicinai al gazebo della Podistica Solidarietà con un certo timore, aspettandomi quasi che qualcuno mi facesse notare la mia inadeguatezza a quel tipo di corsa, ma questo chiaramente non accadde. Anzi, furono in tanti a complimentarsi con me per l'esito della mia prima gara e ad incoraggiarmi per questo mio nuovo impegno. Il resoconto della mia corsa, pubblicato sul sito della società, mi aveva reso in qualche modo "famoso" all'interno del team.
  
Nella lunga attesa prima della partenza mi ritrovai ad ascoltare i tanti discorsi che provenivano dai miei compagni di squadra, la maggior parte dei quali avevano come centro di interesse la prossima Roma-Ostia. Riuscì a percepire la "particolarità di questa gara", in grado di "illuminare" lo sguardo di tante persone. Bastava che uno pronunciasse il termine Roma-Ostia per monopolizzare l'attenzione dei suoi interlocutori. Vedevo la fiamma della passione brillare negli occhi di tutti, sia di quelli che si preparavano ad affrontarla sia in coloro che per varie ragioni si vedevano costretti a rinunciare.
  
Mi diressi verso l'arco di partenza decisamente incuriosito da questa Roma-Ostia, di cui non sapevo molto, e mi riproposi di approfondire l'argomento una volta rientrato a casa
  
Il colpo dello starter mi soprese ancora assorto nei miei pensieri...era venuto il momento di correre. Mi lasciai trasportare dal clima agonistico di quella gara e forzai decisamente il ritmo. Nei primi 5 km mi ritrovai costantemente "in attacco", raggiungendo e superando molti atleti che mi avevano preceduto in partenza. La Corsa di Miguel mi aveva dato una certa sicurezza e in quel momento ne stavo decisamente abusando. Mi avevano parlato di una gara semplice, e la prima metà del percorso aveva confermato questa indicazione, essendo caratterizzata soprattutto da una leggera ma continua discesa. Negli anni avrei imparato che in una gara ad anello, il dislivello negativo, si compensa con il dislivello positivo e che quindi, se i primi chilometri sono prevalentemente in discesa, i successivi saranno prevalentemente in salita.
  
Me ne accorsi al 7' chilometro. In quel momento avevo preso come riferimento un gruppetto di 3 runner che andavano a un ritmo più lento del mio: mi avvicinavo progressivamente a loro e stavo già pregustando il nuovo sorpasso, quando la strada si impennò improvvisamente. Vidi immediatamente il gruppetto allontanarsi da me e mi resi conto che la mia velocità stava "crollando". Da quel momento la mia corsa si sarebbe trasformata in un autentico calvario. Tanti di  quelli che avevo superato nella prima metà del percorso, mi ripresero e superarono con una certa disinvoltura, aumentando il mio senso di sconforto. 
  
Nonostante la grande sofferenza di quel finale, riuscì a trascinarmi fino al traguardo, scoprendo con sorpresa di aver migliorato il tempo della Miguel e di essere riuscito a completare il percorso scendendo sotto la fatidica soglia dell'ora: 57 minuti e 50' secondi, per la precisione. Al senso di depressione provato a partire dal 7' chilometro, quando erano cominciate le salite più dure e il mio fisico aveva "ceduto",  si sostituì immediatamente un sentimento di chiara euforia dovuto a quel risultato inaspettato. 
  
Tornai al gazebo della Podistica Solidarietà camminando "a un palmo da terra" e soprattutto pronto per essere catturato e proiettato all'interno di quel vortice emozionale generato dalla Roma-Ostia.
     
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venerdì 4 febbraio 2011

Alzati e Corri - E adesso?

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo E adesso?
      
Mi ero posto un importante obiettivo e lo avevo raggiunto con un ritorno molto positivo soprattutto sul piano dell'autostima. Mi sentivo molto più sicuro e soprattutto determinato a proseguire rispetto a questo nuovo percorso intrapreso, ma avevo bisogno di pormi nuovi obiettivi per mantenere la mia motivazione a livelli sufficientemente elevati.
 
La corsa mi era entrata dentro e mi ritrovavo spesso a curiosare nel sito della Podistica Solidarietà per trovare qualche altra sfida in cui cimentarmi. In quel periodo il calendario podistico proponeva gare più impegnative della Corsa di Miguel, in una sorta di percorso graduale di allenamento per quei runner che stavano preparando due "classiche" del podismo: la Roma-Ostia e la Maratona di Roma. Osservavo tutte quelle gare che andavano oltre la distanza dei 10 chilometri e le giudicavo fuori della mia portata, per cui continuavo a scandagliare il calendario senza prendere alcuna decisione.
 
Con la Corsa di Miguel avevo completato la mia prima tabella di allenamento e ora mi trovavo senza un guida precisa per continuare ad allenarmi e auspicabilmente progredire nel mio percorso. Continuavo a mantenere il ritmo di 3 sessioni di allenamento a settimana nelle quali correvo all'incirca per un'ora. Per migliorarmi avrei dovuto fare qualcosa di diverso, ma in quel momento non sapevo esattamente cosa.
 
Dopo qualche giorno di incertezza decisi di iscrivermi alla Corriamo al Collatino, che si sarebbe corsa il 13 febbraio, due settimane dopo la Corsa di Miguel. Era classificata come una 10 km abbastanza semplice e mi sembrò la soluzione migliore in quel determinato momento.
     
In qualche modo questa nuova gara era un ulteriore modo per misurarmi con me stesso, per essere certo che il risultato ottenuto alla Corsa di Miguel non fosse stato un risultato estemporaneo e irripetibile, ma la prima tappa di un percorso che mi avrebbe permesso di togliermi nuove soddisfazioni.
 
In quel momento non sapevo che partecipando a quella gara mi stavo esponendo a un'infezione virale, quella che, da lì a poche settimane di distanza, mi avrebbe portato a correre la Roma-Ostia.
    
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martedì 25 gennaio 2011

Alzati e Corri - La motivazione

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Approfondimento: La motivazione
di Lorenzo Bianchi - Psicologo
    
È ormai ampiamente dimostrato che lo sport, se praticato senza eccessi e con regolarità, può alleviare i sintomi di ansia e stress, migliorare le sensazioni di autoefficacia ed accrescere la fiducia in se stessi. Anche se questa convinzione è comune a tutti, molti di noi non riescono a mettere in atto i buoni proposti riguardo l’esercizio fisico. Come mai?
 
La risposta indubbiamente, almeno per l’impulso iniziale, risiede nella motivazione.
 
Per spiegare cosa sia la motivazione esistono molteplici definizioni, ma quella che maggiormente si addice al contesto dello sport riguarda la spinta che ha un individuo ad intraprendere un determinato percorso per raggiungere una data meta. Anche se i motivi che spingono ad iniziare un’attività fisica sono tanti e differenti, questi, seppur importanti non bastano, da soli, a mantenere i progressi nel tempo.
 
Il successo, nel senso di riuscita, in un’attività sportiva è influenzato da alcuni aspetti determinanti; decidiamo di affrontare un impegno sportivo se riteniamo che i benefici che ne trarremo successivamente sono utili e rilevanti per noi stessi, e soprattutto se saremo fermamente convinti che la capacità di raggiungere un obiettivo prefissato dipenda soltanto da noi. In poche parole, la disponibilità a sacrificare il nostro tempo libero per praticare uno sport deve essere “ripagata” da un saldo positivo tra costi e benefici, altrimenti prevarrà la demotivazione con il conseguente abbandono di quanto precedentemente iniziato.
 
Tutte le volte che prevarrà la paura di fallire e la credenza di non poter essere protagonisti di un cambiamento, bensì soltanto spettatori, aumenterà la nostra percezione di essere incapaci e di sentirci giudicati dalle persone che ci circondano.
 
Nell’ambito della psicologia dello sport, tre studiosi, Murray, McClelland ed Atkinson, hanno elaborato un modello secondo cui la motivazione si differenzia in: motivazione alla riuscita e motivazione ad evitare l’insuccesso.
 
La motivazione alla riuscita deriva dall’interazione di tre fattori diversi:
  • la forza dell’orientamento individuale al successo;
  • la probabilità percepita di avere successo;
  • il valore incentivante del successo.
Questo sentirsi maggiormente capaci e fiduciosi nelle proprie possibilità è stato sintetizzato dal concetto di autoefficacia di Albert Bandura. Secondo lo psicologo canadese, le persone con un forte senso di autoefficacia: 
  • vedono i problemi impegnativi come azioni su cui esercitare la propria padronanza;
  • sviluppano un interesse profondo nelle attività a cui partecipano;
  • sviluppano un forte senso d’impegno nei  loro interessi ed attività;
  • recuperano rapidamente dalle battute d'arresto e dalle delusioni.
Tutto ciò si esprime con lo sport, ma lo sperimentiamo in tutti gli ambiti della vita che viviamo.
  
Diversi studi (ad esempio Feltz, 1994) hanno dimostrato che le convinzioni di autoefficacia influenzano significativamente la motivazione e l’impegno con cui un atleta pratica il proprio sport e anche le prestazioni che raggiunge. Tuttavia, l’autoefficacia non agisce direttamente sul livello delle prestazioni future; essa si ripercuote sui processi di pensiero, sul livello e la persistenza della motivazione, sul grado di impegno profuso, e sugli stati affettivi. Tutti questi fattori contribuiscono in modo rilevante sulle prestazioni realizzate: le persone non provano neppure se ritengono di non essere capaci, ma, quando sono convinte di esserlo, il loro impegno e i loro successi superano spesso ogni previsione.
  
Eraclito diceva “chi non crede nell’impossibile non lo realizzerà mai” e ci sono degli esempi di prestazioni straordinarie nello sport che dimostrano che talvolta ciò che sembrava impossibile sia stato realizzato.
  
Una volta compreso che una prestazione è realizzabile da qualcuno, questo incide positivamente sulla convinzione di potercela fare anche in altre persone; infatti osservare qualcun altro che esegue correttamente un compito o realizza una certa prestazione rappresenta una delle quattro fonti principali dalle quali deriva il senso di autoefficacia.
 
Quindi per iniziare e progredire verso un’attività fisica bisogna trovare la giusta motivazione e mantenerla nel tempo, prefissando degli obiettivi stimolanti e non impossibili, così da poter incrementare la propria percezione di autoefficacia e trasferire tali processi di pensiero in tutti gli ambiti della propria vita.
       
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domenica 23 gennaio 2011

Alzati e Corri - Da 0 a 10 km

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Da 0 a 10 km
  

Quel pomeriggio mi stesi con grande soddisfazione sul divano e lo osservai con occhi nuovi. Negli ultimi due mesi il rapporto con il divano era decisamente cambiato. Due mesi prima era il simbolo della mia resa, il luogo dove vivevo con rassegnazione quel senso di apatia che soffocava la mia vita. Oggi, quello stesso divano, era diventato lo strumento dove godermi il mio "meritato" riposo.
 
Ce l'avevo fatta, avevo raggiunto quel sospirato traguardo, che oggi sentivo essere il punto di partenza di nuove sfide che avrei affrontato da protagonista. Non sapevo ancora quali sfide, ma lo avrei scoperto presto. Il mio fisico, ma soprattutto la mia testa, si erano rimessi "in movimento" e non avevano alcuna voglia di fermarsi nuovamente.
 
Quel "piccolo-grande" traguardo mi era costato tanto impegno, ma la soddisfazione che ne avevo ricevuto indietro mi aveva ripagato di ogni sforzo effettuato. Come dice il proverbio "non c'è rosa senza spine" e le mie spine erano state  le alzatacce alle 6 di mattina, il parco ghiacciato e battuto dal vento, quel maledetto ginocchio che per alcuni giorni si era ribellato ai miei ritmi di allenamento. In quelle situazioni avevo dovuto combattere contro il richiamo del letto, del calore della casa, del ginocchio steso sopra una sedia, ma avevo combattuto e avevo vinto, e ora sapevo che ne era valsa la pena.
 
Ora riflettevo su tutto quello che avevo imparato in quei due mesi per fissarlo nella mia testa ed evitare di cadere in nuovi periodi di "divanismo", una delle peggiori malattie dell'era moderna.

I limiti sono nella nostra testa
 
Per prima cosa avevo imparato che la maggior parte dei limiti risiede nella nostra testa e sono quelle convinzioni che ci impediscono di realizzare i nostri sogni. Non aderisco alla scuola di pensiero per cui "non esistono limiti". Sono certo che non siamo tutti uguali, che alcuni limiti esistono e sono scritti nel DNA. Però la maggior parte dei limiti che condizionano concretamente la nostra vita sono il frutto delle nostre scelte, spesso inconsapevoli e sedimentate negli anni, frutto di comportamenti e atteggiamenti sbagliati.
 
Superarli costa fatica, soprattutto all'inizio, quando è necessario superare l'inerzia dell'abitudine. E poi ci sono tutti gli alibi mentali, la maggior parte dei quali, pur non avendo alcuna reale consistenza, agiscono da vere e proprie barriere.
 
Quanti alibi per non correre
  
Rispetto alla corsa l'alibi principale è: "non ho tempo". C'è sempre un tempo per correre, basta arretrare la lancetta della sveglia per 3 giorni alla settimana fino al momento che ci permette di correre per un'ora. Superato il primo alibi, scatta il secondo: "non ce la faccio, la mia attività mi stanca troppo, la sera sono distrutto". La corsa fatta in modo regolare non stanca, anzi, rimette in modo il nostro organismo generando nuove energie. C'è anche una spiegazione chimica a tutto questo, ed è legata al ruolo delle endorfine, ma preferisco dare valore al ruolo "motivazionale". Dopo una corsa all'alba e una doccia ristoratrice, si affronta la giornata di lavoro con grande energia e soprattutto con maggiore grinta...provare per credere. C'è un terzo alibi a cui spesso si fa ricorso in questi casi: "la corsa non mi piace". Questo alibi potrebbe essere accettato solo se pronunciato da chi ha praticato la corsa con una certa assiduità, mentre la maggior parte di coloro che lo usano hanno fatto nella loro vita solo alcuni timidi approcci con questa disciplina (uno dei quali ero io). La corsa va praticata con "metodo" e con "costanza", perché solo dopo un certo tempo che la si pratica si comincia a godere dei suoi benefici, al punto che per molti essa diventa una sorta di "dipendenza".
 
Iniziare con gradualità

Un'altra cosa che ho imparato è che la corsa va avvicinata con "moderazione" e "saggezza" senza strafare, seguendo una tabella di allenamento progressivo che ci porti da 0 a 10 km con la giusta gradualità. Ricordate che seguendo il metodo MeUP (oggi 6più) sono partito da un preallenamento di 21 minuti, costituito da un'alternanza di 1 minuto di corsa continua e di 2 minuti di camminata veloce, per arrivare nel giro di 8 settimane a 60 minuti di corsa continua. Questo è il metodo giusto. Senza questa gradualità difficilmente riuscirete nel vostro intento e dopo due settimane avrete buone probabilità di sentirvi nauseati oppure di andare incontro a qualche fenomeno infiammatorio che vi impedirà di proseguire nel vostro percorso.

Porsi un obiettivo concreto e misurabile

Inoltre ritengo importante porsi un obiettivo preciso e concreto con cui misurarci. L'esistenza di un obiettivo aumenterà le motivazioni che saranno determinanti nei momenti difficili, quando la testa cercherà di convincerci a smettere. Nel mio caso quell'obiettivo è stato appunto rappresentato dalla Corsa di Miguel, ma ognuno di voi potrà porsi il proprio, purché sia un obiettivo "misurabile".
  
Le scarpe e l'abbigliamento
 
Un altro consiglio che posso darvi è legato all'equipaggiamento e in modo particolare alle scarpe. Per le scarpe rivolgetevi sin da subito a un negozio specializzato dove sappiano consigliarvi sulla scelta. Le scarpe devono essere adatte al fisico, alla postura e anche alla forma del piede. Puntate decisamente al confort e la qualità della vostra esperienza podistica sarà indubbiamente superiore. Per il resto dell'abbigliamento è importante che si tratti di un abbigliamento leggero e traspirante. Meglio sopportare un po' di freddo al primo impatto che soffrire il caldo con l'avanzare dell'allenamento. E' importante idratarsi con una certa costanza, per cui se nel vostro circuito di allenamento non sono presenti "fontanelle", portare una borraccia con voi (esistono dei comodi e funzionali porta-borraccia) e bevete spesso, a piccoli sorsi.
 
Correre in sicurezza
 
Consultate sempre il vostro medico prima di iniziare a praticare la corsa, e quando la pratica sarà diventata costante rivolgetevi a un medico sportivo. Un controllo annuale vi permetterà di praticare la corsa in tranquillità e in sicurezza. E se poi avete qualche problema fisico che vi sconsiglia la pratica della corsa, ricordate che ci sono discipline alternative, come il Fit-Walking (camminata sportiva) e il Nordic Walking (camminata nordica) che vi regaleranno le stesse motivazioni, gli stessi benefici e le stesse soddisfazioni della corsa.
   
Passare da 0 a 10 km è un obiettivo raggiungibile da chiunque, specialmente seguendo queste piccole raccomandazioni frutto della mia diretta esperienza. 
    
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