lunedì 28 febbraio 2011

Alzati e Corri - I benefici sull'Autostima

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Approfondimento L'Autostima
    
Senza avere la pretesa di pormi nel ruolo dello psicologo, non ho alcun dubbio che l'altro fattore su cui ero in grado di trarre un bilancio positivo era connesso con il concetto di autostima. Torno quindi inevitabilmente su un tema già affrontato in modo professionale da Lorenzo Bianchi in un altro capitolo del libro, quello relativo alla motivazione.
 
Per Wikipedia "l'autostima è quel processo soggettivo e duraturo che porta il soggetto a valutare e apprezzare se stesso tramite l'autoapprovazione del proprio valore personale fondato su autopercezioni".
  
Più semplicemente direi che l'autostima è un sentimento di apprezzamento per la propria persona a cui si riconosce la capacità di porsi obiettivi sfidanti e di raggiungerli. La stima verso noi stessi ci aiuta a vivere meglio e ci rende più efficaci perché ci consente di affrontare ogni difficoltà con sufficiente energia e convinzione.
 
Nel mio caso specifico, in un momento della mia vita dove alcune certezze erano state messe in discussione e dove la fiducia in me stesso si era incrinata, la corsa mi aveva restituito una piena fiducia nei miei mezzi, anche perché mi aveva permesso di raggiungere importanti obiettivi in una settore, quello dello sport, in cui mi sentivo particolarmente "debole", anche perché in questo campo non ero mai riuscito a raggiungere risultati apprezzabili. Lo sport era stato per me fonte di una serie di delusioni dovute soprattutto alla mia "incostanza" e quindi proprio alla mia incapacità di raggiungere risultati, arrendendomi spesso al primo ostacolo.
 
La corsa era sempre stata una sorta di argomento tabù, anche perché ogni volta che avevo tentato di approcciare questa disciplina, mi ero arreso dopo pochi metri. Insomma, ero uno di quelli che aveva metabolizzato la propria incapacità di correre e che aveva giustificato se stesso con una serie di "convinzioni limitanti" come quella che la corsa non mi piacesse oppure che non era compatibile con i miei problemi fisici. In appena 90 giorni questo insieme di limiti era stato finalmente "demolito" e questo mi aveva restituito fiducia sulle mie qualità individuali, e non solo nel settore della corsa o dello sport, ma in senso generale.
  
I maggiori benefici sull'autostima sono stati generati soprattutto dalla partecipazione alla Roma-Ostia, dal raggiungimento del traguardo di questa mia prima 21 km. Il traguardo della Corsa di Miguel, aveva rappresentato per me un risultato eccezionale, ma nei due mesi di allenamento che avevano preceduto l'evento ero riuscito a farmene "una ragione". Avevo avuto un approccio "progressivo" e quindi mi ero pian piano convinto che si trattasse di una sfida alla mia portata. E poi da qualche parte avevo letto che la partecipazione a una 10 km veniva considerato "il test del moribondo", perché il non riuscire a completare una corsa di 10 km in un'ora era proprio la dimostrazione del degrado fisico indotto dalla sedentarietà.
  
La Roma-Ostia era invece arrivata senza alcun preavviso, come un fulmine a ciel sereno. Non avevo avuto il tempo di abituarmi alla distanza, all'idea di poter correre per 21 km di seguito, da Roma a Ostia. Tutto questo aveva assunto per me il valore di una sfida memorabile e solo il fatto di averla superata mi aveva dato una grande carica che avrei poi utilizzato in tutti gli ambiti della mia vita.
     
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Alzati e Corri - I benefici sul controllo del peso

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Approfondimento I benefici sul controllo del peso
    
Non ho voluto aprire questo racconto con un capitolo dedicato ai benefici della corsa, come da “manuale”. E questo perché l’intento di questa “storia” non è certo quello di rappresentare un trattato teorico sulla corsa, anche perché non avrei i titoli per scriverlo, ma solo quello di condividere un’esperienza, con tutto quello che ne è derivato.
    
Una persona che approccia la corsa per la prima volta dopo un lungo periodo di inattività, come accaduto a me, non può certo aprire il suo racconto descrivendo i benefici della corsa, anche perché all’inizio è difficile riuscire a rendersi conto di quello che stia realmente accadendo al proprio corpo e alla propria mente. Le cose che si realizzano alla prime uscite sono soprattutto la fatica, e anche i dolori che si diffondono rapidamente nei muscoli delle gambe e nelle articolazioni. In questa fase ci si chiede spesso “ma chi me lo fa fare”, ma si continua a correre nonostante questi pensieri negativi, trainati da una grande motivazione collegata a una generica aspettativa di migliorare il proprio stato di benessere. Ci si aspetta da un momento all’altro di cominciare a volare, anche se all’inizio ci si ritrova spesso ad arrancare faticosamente.
  
Ora però, dopo 3 mesi di pratica podistica e una Mezza Maratona completata, potevo già trarre un primo bilancio credibile rispetto alle proprietà benefiche della corsa. Il primo settore su cui mi sembra doveroso riflettere è quello legato all’uso della corsa all’interno di una  strategia di controllo del peso, che poi è stata la principale “molla” che, almeno nella fase iniziale mi ha spinto a correre. In questo credo di essere in buona compagnia, perché sono ragionevolmente certo che una percentuale molto alta di runner che hanno iniziato a correre in età adulta, condivideva questa idea di base, e cioè che attraverso la corsa si potesse “perdere peso” oppure si potesse  mantenerlo con maggiore serenità, evitando rigidi schemi alimentari. 
  
A confermare questa certezza, la frequentazione dei tanti gruppi di runner presenti sui vari social network,  dove abbondano foto di pranzi luculliani con didascalie che esaltano il rapporto funzionale tra corsa e cibo. “Dopo una corsa di 2 ore, posso godermi questa meravigliosa Carbonara”…il web abbonda di frasi di questo tipo, quasi che il vero obiettivo di una corsa non fosse quello di raggiungere il traguardo, ma quello di “mettere i piedi sotto un tavolino” e rimpinzarsi di cibarie di ogni tipo. Ricordo di aver partecipato a un seminario focalizzato sugli aspetti motivazionali della corsa. Lo psicologo che conduceva i lavori aveva chiesto ai runner presenti di sintetizzare in una frase la motivazione principale per cui correvano. Molti tra i presenti avevano risposto esprimendo un’associazione diretta tra corsa e cibo. La possibilità di mangiarsi una lasagna senza complessi di colpa, sembrava essere la principale motivazione che spingeva tanti adulti a trasformarsi in runner assidui.
   
Rispetto al controllo del peso, dopo 3 mesi di attività, potevo dichiararmi soddisfatto, perché la corsa aveva contribuito a fermare una pericolosa deriva verso l’obesità. La determinazione a invertire la tendenza aveva in qualche modo preceduto la mia decisione di iniziare a correre, ma la corsa aveva contribuito ad accelerare il processo di perdita del peso, facendomi velocemente rientrare in una fascia di peso “accettabile”, anche se ero ancora lontano dal mio peso forma. Soprattutto mi aveva aiutato a perdere "massa grassa" a vantaggio della "massa magra", cioè la struttura muscolare, elemento determinante per chi pratica uno sport, molto più della perdita di peso complessivo.
Sulla base della mia esperienza, oggi non nutro alcun dubbio rispetto alla relazione positiva che lega la corsa con le strategie di controllo del peso.

Ma sempre in base alla mia esperienza personale, posso altresì affermare con convinzione che è invece illusorio pensare che la corsa rappresenti di per se stessa la panacea nei confronti della gestione del peso corporeo. Al momento in cui ho deciso di scrivere questa storia, come già detto in apertura, la mia battaglia contro il peso prosegue tra alti e bassi, con il classico approccio “yo-yo”. Il mio metabolismo sembra ancora seguire quel ritmo impazzito che ha caratterizzato gran parte della mia esistenza da adulto.
 
La corsa da sola non può indirizzare il problema di quelli come me, di quelli che da anni si battono contro la loro tendenza ad acquisire peso, ma deve essere sempre abbinata a un regime alimentare nutrizionalmente corretto, riducendo al minimo gli eccessi. 

La corsa quindi è un valido sostegno in una corretta strategia di controllo del peso, ma da sola non è in grado di operare miracoli, anche perché questa erronea convinzione genera uno degli errori più comuni del runner affamato: quello di mangiare molto di più grazie all’alibi della corsa che “pulisce la nostra coscienza”. La convinzione di aver fatto il “proprio dovere” ci fa sentire autorizzati ad eccedere, con la conseguenza che il peso non diminuisce e in alcuni casi tende ad aumentare.
  
Del resto il rapporto tra la corsa e il cibo va letto anche al contrario. Nel momento che si prende la decisione di correre bisogna aumentare la propensione a mantenere uno stile di vita sano caratterizzato da una nutrizione equilibrata. Perché una buona nutrizione ci permette di ottenere il massimo beneficio dalla corsa, facendoci entrare in un circolo virtuoso orientato al benessere. Una buona di nutrizione ci farà sentire meglio e quindi ci permetterà di correre e di allenarci al meglio, e questo ci aiuterà a mantenere il nostro peso corporeo all’interno di una fascia ottimale. A sua volta, questo stato di rinnovata energia, ci aiuterà a correre al meglio.
     
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domenica 27 febbraio 2011

Alzati e Corri - Di gambe oppure di testa?

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Di gambe oppure di testa?
    
Nei giorni successivi alla Roma-Ostia, i commenti alla mia “prestazione”, che poi erano soprattutto messaggi di congratulazioni, finirono per rianimare quel dibattito che era già iniziato prima della mia decisione di partecipare. Questo dibattito era solo lo strato superficiale di una disputa più profonda che divideva in due i runner: la reale questione era se la corsa fosse uno sport di gambe oppure di testa.
   
Come in tutti i dibattiti che si rispettano si erano create due correnti di pensiero, quella dei “gambisti” e quella dei “sentimentalisti”: i primi mi avevano sconsigliato la partecipazione, soprattutto perché non avevo nelle gambe i chilometri necessari per una mezza maratona; i secondi mi avevano invitato a partecipare, spingendomi a fare completo affidamento sulla “voglia di farcela”.
  
Queste due posizioni furono ben sintetizzate dall’autorevole intervento di Antonio che in qualche modo aveva formalizzato l’esistenza di entrambe le categorie di podisti, e quindi in sostanza aveva lasciato a me il compito di dirimere la questione partecipazione o meno, decidendo a quale categoria volessi appartenere.
  
Chiaramente, non essendo un grande atleta e non potendo in generale contare sulle mie “gambe”, avevo deciso di schierarmi nella seconda categoria, di assecondare la mia voglia di partecipare, contando poi sui tanti consigli ricevuti, in modo particolare quelli del Presidente Pino Coccia, per costruirmi una strategia che mi permettesse di raggiungere l’agognato lungomare di Ostia.  

Quindi avevo fatto una gara di “testa” sfruttando le due componenti che nella testa risiedono, la componente emozionale, quelli che molti identificano nell’anima o nel cuore, ma che realmente risiede nel nostro cervello, e la componente razionale, che mi aveva aiutato a gestirmi durante il percorso.
  
Dopo la Roma-Ostia ero arrivato alla logica conclusione che la testa giocasse un ruolo decisivo, altrimenti non sarei mai riuscito ad arrivare al traguardo e senza mai smettere di correre, se non qualche secondo in corrispondenza dei ristori. Le mie gambe non avevano l’autonomia necessaria per correre la Roma-Ostia, ma questa mancanza era stata compensata dalla voglia di farcela e da una gestione intelligente del percorso.
  
Questa conclusione mi porta oggi a rafforzare la convinzione che la maggior parte dei limiti che ci impediscono di raggiungere alcuni traguardi risiedono nella nostra testa. Con questo non voglio certo affermare che la corsa sia soltanto una questione di testa, perché le gambe, e con questo intendo anche l’apparato muscolo-scheletrico, l’apparato respiratorio e quello cardio-vascolare, giocano comunque un ruolo importantissimo, anche se più legato alla “prestazione” e quindi al ritmo con cui si corre. In ogni caso la motivazione, la voglia di farcela, di superare l'ostacolo, sono componenti essenziali, che ci permettono di "alzare l'asticella" qualche centimetro più in alto di quanto avessimo mai fatto in precedenza.
  
Sul piano della “prestazione” la mia prova chiaramente non era stata esaltante, visto che il cronometro aveva registrato all’arrivo un tempo di 2h:21’:02”, ma, considerate tutte le premesse, potevo giudicarmi soddisfatto anche del fattore tempo. In fondo, anche le mie gambe, ben guidate dalla testa, avevano fatto fino in fondo il loro dovere.
     
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Alzati e Corri - La Regina delle Mezze

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo La Regina delle Mezze
    
La sveglia mise fine a una notte molto agitata, ma la notte in realtà non era ancora finita, perché fuori era ancora buio pesto. 
   
Guardai tutto il mio equipaggiamento in bella mostra sul tavolo del soggiorno e la mia attenzione si soffermò sul pettorale numero 9151, la prova che quella sfida era reale. Lasciai casa che ancora non aveva albeggiato e andai a prendere la mia amica Laura, anche lei all’esordio sulla distanza. Ci dirigemmo verso il Palasport dell’Eur, luogo del ritrovo di questa manifestazione; l’appuntamento con il gruppone orange della Podistica Solidarietà, era nei pressi dell’ospedale Sant’Eugenio. Depositammo la borsa con il cambio nei pullman organizzati dalla società, i quali poi si sarebbero diretti verso Ostia per poi attendere "speranzosi" il nostro arrivo. Quell’idea del pullman pieno che attendeva nervosamente il mio arrivo rappresentava per me un motivo di grande agitazione, ma quando raggiunsi i miei compagni di squadra cercai di mostrare il mio “sorriso migliore”, celando il mio stato di nervosismo. Del resto quei momenti di “goliardia” collettiva prima della gara dovevano essere un modo per “ricordare” a tutti, a me per primo, che al di là dei propri obiettivi personali, la corsa amatoriale era un esercizio di puro divertimento.  
  
Quel senso di ritrovata serenità non durò molto. Una volta raggiunta la “griglia di partenza” fui colto da un nuovo stato di agitazione. Mi guardavo intorno e mi sentivo assolutamente inadeguato e   continuavo a chiedermi come mi fosse venuto in mente di partecipare alla Roma-Ostia ad appena 3 mesi dal mio primo allenamento podistico, un allenamento durato appena 21 minuti. Per me la "griglia di partenza" era rovente come quella di un barbecue...e in questo caso la "carne" ero io.

Il momento dei rimpianti era però finito: ero in ballo e dovevo ballare. Anzi, per essere più preciso, ero nella griglia di partenza e dovevo partire. Ricordo ancora perfettamente il momento in cui il lungo “serpentone” dei podisti si mosse, prima lentamente e poi sempre più velocemente. Ricordo l’emozione di vedere quel fiume multicolore che scendeva verso l’Eur, mentre lo speaker "caricava" tutti con le sue parole.
   
La presenza di Laura accanto a me era al contempo motivo di tranquillità e di preoccupazione. Tranquillità perché rappresentava una presenza “amica” in una situazione “difficile”, preoccupazione perché sapevo che per arrivare ad Ostia dovevo essere molto prudente, e seguendo Laura rischiavo di farmi trascinare dal suo “ritmo”, senza dubbio più veloce del mio.  
        
Il giro all’interno dell’Eur era ormai finito ed eravamo pronti a lanciarci verso la Cristoforo Colombo.  Mi sentivo come una barca che molla gli ormeggi e si avvia verso il mare aperto, perdendo le ultime sicurezze. Il punto di non ritorno, il bivio che separava i percorsi della prova competitiva e della non competitiva, si stava avvicinando. A sinistra c’era il porto, mentre a destra c’era il mare aperto. Ignorai quella “vocina interiore” che mi consigliava di tornare al molo e mi diressi verso il mare aperto, verso la Cristoforo Colombo, verso Ostia.
   
Trascinato dal "serprentone" mi ritrovai sulla Cristoforo Colombo, ma per la prima volta nella mia vita senza un mezzo motorizzato. Laura accese il suo iPod e smise di parlare. Io approfittai della situazione per lasciarla andare e continuare da solo la mia avventura. 
  
Le cose procedevano così come le avevo immaginate nelle mie “visualizzazioni” notturne.  Affrontai  la temibile salita del “campeggio”  senza particolari sofferenze e senza smettere di correre. Arrivato in vetta alla salita ebbi un momento di incertezza, quando il mio sguardo vide il tracciato che ancora mi separava dall’ambito traguardo: una lingua di asfalto immersa tra gli alberi che sembrava non finire mai. 
   
Feci un rapido check-up mentale, il cui esito risultò soddisfacente. Nonostante avessi raggiunto e superato la distanza limite di 10 km, mi sentivo ancora discretamente bene.  Raggiunsi anche il secondo ristoro, e mi inoltrai verso il mio prossimo obiettivo: il ristoro del 16°. Sapevo che quello era un passaggio dirimente, perché oltre quel punto nessuno mi avrebbe più potuto fermare.   
 
La stanchezza mi colse all’improvviso facendomi vacillare. Cercavo con lo sguardo la bandiera che segnalava il chilometro successivo. Ecco il 13’, poi il 14’, il 15’ e finalmente il 16’. A meno di mezzo chilometro di distanza potevo vedere la presenza degli addetti al ristoro. A 100 metri dalla meta cominciai a camminare. Presi acqua, Sali minerali e soprattutto alcuni spicchi di arancia, che mi regalarono un senso di autentico sollievo.
  
Ripresi a correre, superando la bandiera del 17’ chilometro e cercando visivamente quella del 18’. Il tempo sembrò fermarsi e le distanze allungarsi, la testa cominciava a ribellarsi e a dare chiari segnali di cedimento. Superai la bandiera del 19’ chilometro mentre la strada tornava a salire, un falsopiano inatteso e mai visualizzato, che rischiava di mandare in crisi le mie strategie. Le gambe erano sempre più pesanti ma resistetti alla tentazione di smettere di correre perché sentivo che la destinazione si stava avvicinando inesorabilmente. Le grida di incoraggiamento delle persone che si trovavano ai lati della Colombo, sempre più numerose mi fornivano delle dosi di energia supplementare con le quali mi trascinavo avanti, ancora avanti, fino a raggiungere la bandiera del 20’ chilometro.
  
Raggiunsi la vetta del falsopiano e davanti ai miei occhi si spalancò l’immagine del mare aperto, che stavolta non rappresentava l’ignoto, ma la certezza di aver raggiunto la meta. In quel momento un urlo improvviso mi distolse dai miei pensieri. “Dai Maurizio, ce l’hai fatta” , era la voce del Presidente Pino Coccia, che mi guardava da dietro il suo obiettivo. Era lì, su un lato della strada a fotografare tutti gli atleti della Podistica Solidarietà che arrivavano al traguardo.
   
Ancora oggi rivedo con piacere quelle foto, soprattutto quel sorriso che esprimeva un grande gioia, la gioia di avercela fatta. Avevo “sofferto” molto per arrivare a quel punto, ma la soddisfazione di aver raggiunto quel risultato aveva spazzato via tutto. 
   
Iniziai l’ultimo tratto, psicologicamente complesso, perché prima di arrivare al traguardo era necessario fare un ampio giro sul lungomare, voltando inizialmente le spalle al traguardo per poi invertire la marcia. Guardai il traguardo avvicinarsi con un senso di grande emozione che si trasformò in commozione quando il mio sguardo si alzò verso il cielo e il mio pensiero andò inevitabilmente ai miei genitori. 
   
Ce l’avevo fatta, avevo affrontato le mie paure, i miei limiti fisici e mentali e...avevo vinto. La medaglia che un componente dello staff mi mise al collo, fu il segnale tangibile della mia “riscossa”: ero passato, in soli 3 mesi, dal divano al traguardo della Roma-Ostia, di una mezza Maratona, correndo ininterrottamente per 21.095 metri.
  
Il mio ultimo incubo svanì quando raggiunsi i pullman della Podistica Solidarietà. Gli atleti orange erano ancora tutti a terra a commentare le loro prestazioni. Non c’era nessuno ad aspettarmi nervosamente e non ero neanche l’ultimo atleta in canottiera orange ad arrivare al traguardo. Fui accolto da grandi sorrisi e da pacche sulle spalle. In quel momento ero al settimo cielo, e sempre più “impallinato” per la corsa.
   
Ero ancora distrutto, ma nella mia mente già affiorava la voglia di tentare una nuova sfida!
     
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venerdì 25 febbraio 2011

Alzati e Corri - La vigilia

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo La vigilia

Fu una settimana decisamente adrenalinica; il pensiero era costantemente rivolto a questa nuova sfida, certamente azzardata rispetto alle mie capacità atletiche. Mi sentivo come uno che con un po’ di leggerezza avesse accettato di giocare alla roulette russa, per poi realizzare tutte le possibili implicazioni negative della sua scelta.
    
Passai le mie sere a studiare il percorso e le notti a visualizzarlo nei miei sogni: mi sembrava di conoscerne ogni metro, come un veterano che l’avesse già corsa decine di volte. Avevo mentalmente diviso l’intera distanza di 21.097 metri in quattro segmenti, delimitati dai tre ristori, il primo, dopo 5650 metri, il secondo, dopo 11.100 metri, il terzo, dopo 16.500 metri. Avevo deciso che mi sarei concentrato sempre sul ristoro successivo, come se la mia corsa finisse lì. Mi ero anche convinto che il vero sforzo per me fosse quello di raggiungere l’ultimo ristoro, quello del 16’ km, perché a quel punto niente e nessuno avrebbe potuto più fermarmi, avrei raggiunto il traguardo anche a a costo di “strisciare sui gomiti”.
   
Avevo poi sezionato ogni metro della salita più ardua della Roma-Ostia, la "salita del camping", una salita dalle dolci pendenze, ma sufficientemente lunga da “tagliare” la gambe a coloro che l’affrontano senza rispetto.  La fine di questa salita coincideva con la metà del percorso e passare in buone condizioni questo “punto critico” mi avrebbe permesso di porre un’ipoteca sul risultato finale.
  
In quella settimana avrò corso mentalmente la Roma-Ostia numerose volte, e anche quando “sgambettavo” nel Parco delle Sabine, mi sembrava di essere circondato dai gli alti pini, che dominano la Cristoforo Colombo. 
 
Il venerdì arrivai trepidante al villaggio della Roma-Ostia, dove avrei vissuto la ritualità collegata al ritiro del pettorale e del pacco gara, in un contesto che ti faceva percepire tutto il “valore” di questa gara. Avevo offerto la mia collaborazione alla Podistica Solidarietà come presenza al desk dedicato agli atleti orange. Il pomeriggio passato al desk mi permise di approfondire la conoscenza di molti personaggi che animano le attività di questa società, ma soprattutto mi diede l'opportunità di "respirare il clima" della Roma-Ostia: una vera e propria full-immersion. La sera a casa, mentre osservavo affascinato il pettorale numero 9154, il mio numero, ripensai a tutti i frammenti di discorsi “tecnici” catturati al desk e cercai di trarne il maggiore vantaggio possibile.
   
Era però intervenuto un elemento di disturbo inatteso: il pullman. Avevo infatti prenotato un posto in uno dei pullman organizzati dalla Podistica Solidarietà per riportare i propri atleti a Roma alla fine della gara. Era la soluzione tecnicamente più praticabile e avevo prenotato il mio posto senza pensarci più di tanto. Solo successivamente avevo realizzato che i pullman erano chiaramente “costretti” ad aspettare l’arrivo di tutti gli atleti prima di riprendere la via di Roma. In quel momento si materializzò nella mia mente un’immagine terribile: il pullman pieno, con i motori accesi, le faccia spazientita dell’autista e io, l’ultimo atleta, che salivo e raggiungevo l'unico posto libero, seguito nel mio movimento dagli sguardi torvi di tutti i presenti. Quell’immagine angosciante cominciò a turbare le mie notti, aumentando la mia agitazione complessiva. 
    
In ogni caso, il tempo delle riflessioni era finito, la Roma-Ostia era diventata ormai una sfida reale e non più immaginaria. Preparai tutto il necessario, controllando ogni dettaglio più volte, in preda alla classica sindrome del “gas chiuso”. Andai a letto nella consapevolezza che sarebbe stato difficile dormire: l’adrenalina scorreva a fiumi e i pensieri si alternavano vorticosamente nel mio cervello. E su tutti i pensieri prevaleva sempre l’incubo del pullman.
     
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sabato 19 febbraio 2011

Alzati e Corri - Il virus della Roma-Ostia

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Il virus della Roma-Ostia
   
Roma-Ostia, Roma-Ostia, Roma-Ostia…il virus mi aveva contagiato e ora si diffondeva a rapidità supersonica nelle mie cellule celebrali, impregnando tutti i miei pensieri.
  
Roma-Ostia, Roma-Ostia, Roma-Ostia…rientrato a casa dimenticai ogni altra incombenza e mi tuffai nella “rete” alla ricerca di informazioni su questa gara. E fu per me un duro colpo scoprire in questo modo l’esatto significato del termine “half-marathon”, inequivocabilmente associato alle altre due paroline magiche che dominavano ormai la mia mente: Roma-Ostia Half Marathon, 21097 metri, né uno di più, né uno di meno.
 
Roma-Ostia, Roma-Ostia, Roma-Ostia…la potente azione del virus mi impediva di “mollare la presa” nonostante quella distanza apparisse ai miei occhi come un obiettivo “impossibile”. Capisco che il linguaggio della pubblicità stesse imponendo l’idea che “impossible is nothing”, ma la mia componente razionale mi portava a pensare che, se è vero che il “cuore” a volte è in grado di spingerci oltre i nostri limiti, è altresì vero che c'è un limite a tutto.
   
Come potevo passare, in appena due settimane, dalla stentata capacità di arrivare con la “lingua di fuori” al traguardo di una 10 km, a completare una gara con un percorso lungo più del doppio? E non si può sottovalutare quel “più”, perché quando si è ai limiti della propria resistenza, quei 1097 metri in più rispetto al doppio sono un’enormità.
  
Roma-Ostia, Roma-Ostia, Roma-Ostia…condivisi il mio conflitto interiore tra la parte emotiva e la parte razionale nell’area commenti del sito della Podistica Solidarietà, con un commento che si concludeva con la storica domanda: CHE FARE? Si scatenò un dibattito che sorprese anche me e che evidenziò un’enorme spaccatura tra due tipologie diverse di podisti: i “podisti emotivi” e i “podisti razionali”. Il sito tracimò, travolto dalla voglia di gran parte della comunità orange di esprimere la propria opinione.
  
Nello schieramento dei “podisti emotivi”, quello del “non ci pensare…segui il tuo cuore…buttati”, si distinsero alcuni personaggi, come Daniela Paciotti e Giuseppe Di Giorgio, che meriterebbero un capitolo a parte (che prima o poi scriverò) per il loro modo di interpretare la corsa. A mediare tra queste due “mentalità” ci pensò l’onnipresente Presidente Pino Coccia, che in qualità di “coach” mi suggeriva di aspettare l’anno successivo, mentre in qualità di “podista appassionato” lasciava "aperta una porta" alla mia partecipazione.
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Il suggerimento di Pino era quello di fare almeno un tentativo di superare la soglia dei 10 km in allenamento, cercando di farne almeno 15, così da poter valutare la reazione del mio fisico. Mi sembrò un ragionamento molto sensato, e così programmai il tentativo per il sabato successivo.
 
Mi presentai al Parco delle Sabine, insieme al mio amico Umberto, determinato a raggiungere il mio super-obiettivo: correre per almeno 90 minuti. La mia corsa procedette tranquilla per 50 minuti, nei quali, nonostante la fatica e il respiro affannato, riversai sul mio compagno di corsa tutte le informazioni che avevo appreso intorno alla Roma-Ostia. Lui mi ascoltava, ma sembrava "vaccinato" contro da ogni possibile contagio, e, ad ogni mia esternazione, continuava a scrollare la testa come a voler sottolineare la mia follia
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Superata la soglia dei 60 minuti il mio entusiasmo crollò rapidamente, perché il mio fisico sembrava aver ingaggiato un’estenuante battaglia con la mia testa, mandando dei segnali di stanchezza molto chiari, segnali che con il passare dei minuti si trasformarono in fitte di dolore che attraversavano ogni mia fibra muscolare.
  
Alla soglia dei 70 minuti crollai miseramente e iniziai ad alternare corsa e cammino, anche se la mia corsa era diventata così pesante, che ad un osservatore esterno sarebbe stato impossibile distinguere le due fasi: mi stavo letteralmente trascinando. Mancavano ancora 5 minuti al raggiungimento dell’obiettivo, quando il mio fisico si rifiutò di proseguire in quella "tragedia" e mi impose lo stop definitivo. Stravolto dalla stanchezza e deluso dalla mia incapacità di arrivare fino all’obiettivo che mi ero posto, mi affrettai a mandare un sms al Presidente, con il quale rinunciavo ufficialmente alla partecipazione alla Roma-Ostia. Mi sentì in qualche modo sollevato, pensando di essere guarito dal contagio, perché la mia testa ormai rifiutava anche il solo pensiero di correre una mezza maratona.
   
Tutto finito? Neanche per sogno. Dopo mangiato mi sdraiai sul divano con le gambe ancora doloranti, ma dopo un paio d’ore, rimettendo i piedi in terra, mi resi conto che i dolori erano spariti e  che mi sentivo decisamente meglio, sia sul piano muscolare sia sul piano mentale.
  
Roma-Ostia, Roma-Ostia, Roma-Ostia, il virus aveva ripreso la sua diffusione. Ricordai che Pino mi aveva detto di valutare la reazione del mio fisico durante la corsa, ma soprattutto nella fase di recupero. La corsa era stata un disastro, ma il recupero era stato superlativo, inaspettato. Avevo immaginato di rimanere bloccato a letto per un paio di giorni, invece dopo due ore ero lì che “saltavo come un grillo”.
  
Tornai sul social network della Podistica Solidarietà e raccontai la mia esperienza ottenendo n’ondata di messaggi di incoraggiamento. I “razionali” si erano arresi e avevano smesso di commentare, lasciando tutto lo spazio agli “emotivi”. Mandai un nuovo sms al Presidente, chiedendogli se c’era ancora un pettorale libero. La risposta fu affermativa.
  
Un nuovo “dado era stato tratto”, il conto alla rovescia era partito: avrei corso la Roma-Ostia.
     
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domenica 13 febbraio 2011

Alzati e Corri - Corriamo al Collatino

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Corriamo al Collatino
   
Erano passate appena due settimane dalla Corsa di Miguel, quella che in teoria sarebbe dovuta essere la mia prima e unica corsa, ed ero nuovamente pronto ad affrontare una gara di 10 km. Non era solamente "la corsa", nella sua accezione più generale, ad essersi impossesata di me, ma anche quel clima agonistico che avevo respirato per la prima volta proprio alla Corsa di Miguel. 
  
Nella mia vita avevo mai praticato uno sport individuale a livello agonistico, e le sensazioni che avevo provato alla Corsa di Miguel erano risultate completamente nuove, una sorta di scoperta, e ora avevo voglia di provarle ancora. 
  
La sveglia suonò molto presto quella domenica, un'esperienza che da quel momento avrei vissuto sempre più spesso. 
  
Appena arrivato sul luogo del misfatto, ebbi la sensazione che nell'aria ci fosse qualcosa di diverso rispetto alla precedente esperienza: avevo vissuto la Corsa di Miguel come un grande evento sportivo, e ora percepivo la Corriamo al Collatino come una "corsa competitiva". Una differenza non semplice da spiegare a chi non corre, ma che forse i runner più esperti potranno arrivare ad apprezzare. Alla Corsa di Miguel avevo visto tanti runner come me, nei cui occhi potevo leggere la mia stessa preoccupazione e anche un certo disorientamento; alla Corriamo al Collatino, guardandomi intorno, mi ero sentito "un alieno". Negli occhi degli altri runner c'era una tensione diversa, tutta orientata alla prestazione.  
  
Mi avvicinai al gazebo della Podistica Solidarietà con un certo timore, aspettandomi quasi che qualcuno mi facesse notare la mia inadeguatezza a quel tipo di corsa, ma questo chiaramente non accadde. Anzi, furono in tanti a complimentarsi con me per l'esito della mia prima gara e ad incoraggiarmi per questo mio nuovo impegno. Il resoconto della mia corsa, pubblicato sul sito della società, mi aveva reso in qualche modo "famoso" all'interno del team.
  
Nella lunga attesa prima della partenza mi ritrovai ad ascoltare i tanti discorsi che provenivano dai miei compagni di squadra, la maggior parte dei quali avevano come centro di interesse la prossima Roma-Ostia. Riuscì a percepire la "particolarità di questa gara", in grado di "illuminare" lo sguardo di tante persone. Bastava che uno pronunciasse il termine Roma-Ostia per monopolizzare l'attenzione dei suoi interlocutori. Vedevo la fiamma della passione brillare negli occhi di tutti, sia di quelli che si preparavano ad affrontarla sia in coloro che per varie ragioni si vedevano costretti a rinunciare.
  
Mi diressi verso l'arco di partenza decisamente incuriosito da questa Roma-Ostia, di cui non sapevo molto, e mi riproposi di approfondire l'argomento una volta rientrato a casa
  
Il colpo dello starter mi soprese ancora assorto nei miei pensieri...era venuto il momento di correre. Mi lasciai trasportare dal clima agonistico di quella gara e forzai decisamente il ritmo. Nei primi 5 km mi ritrovai costantemente "in attacco", raggiungendo e superando molti atleti che mi avevano preceduto in partenza. La Corsa di Miguel mi aveva dato una certa sicurezza e in quel momento ne stavo decisamente abusando. Mi avevano parlato di una gara semplice, e la prima metà del percorso aveva confermato questa indicazione, essendo caratterizzata soprattutto da una leggera ma continua discesa. Negli anni avrei imparato che in una gara ad anello, il dislivello negativo, si compensa con il dislivello positivo e che quindi, se i primi chilometri sono prevalentemente in discesa, i successivi saranno prevalentemente in salita.
  
Me ne accorsi al 7' chilometro. In quel momento avevo preso come riferimento un gruppetto di 3 runner che andavano a un ritmo più lento del mio: mi avvicinavo progressivamente a loro e stavo già pregustando il nuovo sorpasso, quando la strada si impennò improvvisamente. Vidi immediatamente il gruppetto allontanarsi da me e mi resi conto che la mia velocità stava "crollando". Da quel momento la mia corsa si sarebbe trasformata in un autentico calvario. Tanti di  quelli che avevo superato nella prima metà del percorso, mi ripresero e superarono con una certa disinvoltura, aumentando il mio senso di sconforto. 
  
Nonostante la grande sofferenza di quel finale, riuscì a trascinarmi fino al traguardo, scoprendo con sorpresa di aver migliorato il tempo della Miguel e di essere riuscito a completare il percorso scendendo sotto la fatidica soglia dell'ora: 57 minuti e 50' secondi, per la precisione. Al senso di depressione provato a partire dal 7' chilometro, quando erano cominciate le salite più dure e il mio fisico aveva "ceduto",  si sostituì immediatamente un sentimento di chiara euforia dovuto a quel risultato inaspettato. 
  
Tornai al gazebo della Podistica Solidarietà camminando "a un palmo da terra" e soprattutto pronto per essere catturato e proiettato all'interno di quel vortice emozionale generato dalla Roma-Ostia.
     
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venerdì 4 febbraio 2011

Alzati e Corri - E adesso?

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo E adesso?
      
Mi ero posto un importante obiettivo e lo avevo raggiunto con un ritorno molto positivo soprattutto sul piano dell'autostima. Mi sentivo molto più sicuro e soprattutto determinato a proseguire rispetto a questo nuovo percorso intrapreso, ma avevo bisogno di pormi nuovi obiettivi per mantenere la mia motivazione a livelli sufficientemente elevati.
 
La corsa mi era entrata dentro e mi ritrovavo spesso a curiosare nel sito della Podistica Solidarietà per trovare qualche altra sfida in cui cimentarmi. In quel periodo il calendario podistico proponeva gare più impegnative della Corsa di Miguel, in una sorta di percorso graduale di allenamento per quei runner che stavano preparando due "classiche" del podismo: la Roma-Ostia e la Maratona di Roma. Osservavo tutte quelle gare che andavano oltre la distanza dei 10 chilometri e le giudicavo fuori della mia portata, per cui continuavo a scandagliare il calendario senza prendere alcuna decisione.
 
Con la Corsa di Miguel avevo completato la mia prima tabella di allenamento e ora mi trovavo senza un guida precisa per continuare ad allenarmi e auspicabilmente progredire nel mio percorso. Continuavo a mantenere il ritmo di 3 sessioni di allenamento a settimana nelle quali correvo all'incirca per un'ora. Per migliorarmi avrei dovuto fare qualcosa di diverso, ma in quel momento non sapevo esattamente cosa.
 
Dopo qualche giorno di incertezza decisi di iscrivermi alla Corriamo al Collatino, che si sarebbe corsa il 13 febbraio, due settimane dopo la Corsa di Miguel. Era classificata come una 10 km abbastanza semplice e mi sembrò la soluzione migliore in quel determinato momento.
     
In qualche modo questa nuova gara era un ulteriore modo per misurarmi con me stesso, per essere certo che il risultato ottenuto alla Corsa di Miguel non fosse stato un risultato estemporaneo e irripetibile, ma la prima tappa di un percorso che mi avrebbe permesso di togliermi nuove soddisfazioni.
 
In quel momento non sapevo che partecipando a quella gara mi stavo esponendo a un'infezione virale, quella che, da lì a poche settimane di distanza, mi avrebbe portato a correre la Roma-Ostia.
    
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