lunedì 29 novembre 2010

Alzati e Corri - L'abito fa il monaco

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo L'abito fa il monaco
  

Le parole del mio amico avevano lasciato una traccia dentro di me. Mi ero convinto che non potevo proseguire senza un equipaggiamento idoneo. Dovevo trasformarmi almeno simbolicamente in un runner, come un bruco che esce dal bozzolo e diventa farfalla. Avevo bisogno di un abbigliamento adatto e di un paio di scarpe "da corsa".  
 
Non ero ancora pronto a confrontarmi con un negozio specializzato nella corsa e quindi cercai di fare un corso accelerato su Internet. Mi recai in un megastore sportivo dove avrei potuto selezionare del materiale adeguato, mantenendo al contempo un certo livello di anonimato. Non avevo voglia di sentirmi pressato nelle mie scelte, preferivo valutare con calma, acquisendo maggiore consapevolezza sull'offerta di materiale tecnico.
 
Se oggi dovessi dare un consiglio ad un neofita gli suggerirei di rivolgersi subito a un negozio specializzato nel settore running, facendosi supportare da un esperto della materia, in modo da essere immediatamente indirizzato verso le più corrette soluzioni.  Ma allora non mi sentivo ancora pronto per quel passaggio.
  
Per me il vero scoglio da superare fu rappresentato dalla scelta dei pantaloni o per essere più corretti dalla scelta dei "collant da running". Mentre osservavo i modelli esposti, scrollavo la testa e pensavo che non avrei avuto mai il coraggio di indossare un "capo" così attillato. Tutto ciò sembrava superare i limiti del mio "senso del ridicolo". La commessa del negozio, compreso il mio imbarazzo, mi suggerì di provarli, cosa che feci con grande riluttanza. Una volta indossati tentati di osservarmi allo specchio, ma il mio "senso del ridicolo" continuava a ribellarsi. Improvvisamente nella mia testa si materializzò la soluzione. Da buon "pallonaro" avrei adottato il "metodo classico", quello di mettere dei pantaloncini da calcio sopra il "collant"...in quel momento mi apparve come un compromesso accettabile. 
 
Superato l'ostacolo "collant" mi inoltrai nella scelta più delicata, quella delle scarpe. Usai un metodo che avrebbe scatenato le proteste dei "puristi" della corsa. Feci infatti una scelta molto poco tecnica, incrociando tre criteri: un criterio estetico, un criterio economico e poi un criterio basato sulla fiducia nelle descrizioni riportate sui cartellini che descrivevano i prodotti esposti sugli scaffali. Alla fine di questo personale processo di selezione, la mia scelta cadde su un bellissimo paio di New Balance di colore grigio argento, con finiture rosse. Quelle New Balance mi avrebbero accompagnato per alcuni mesi, fino alle soglie della Maratona, ma non avrei mai confessato il metodo "personale" con cui l'avevo scelte.
 
Tornai a casa visibilmente soddisfatto dei miei acquisti che rafforzavano la mia determinazione a proseguire nel programma di allenamento.  In tutte le situazioni della vita, a differenza di quanto sostiene il proverbio, l'abito fa il monaco, o quanto meno l'abito ti fa sentire un monaco e ti conferisce maggiore determinazione. L'unica cosa che mi disturbava un po' erano i "collant", ma il compromesso che avevo ideato mi restituiva un sufficiente grado di tranquillità.
 
Oggi, se potessi tornare indietro avrei fatto scelte diverse, soprattutto avrei scelto materiale più leggero. Uno degli errori tipici di un neofita che comincia a correre di inverno è quello di coprirsi troppo. Il freddo che si prova uscendo da casa, dura per poche centinaia di metri e da quel momento in poi la sensazione di calore prodotta dallo sforzo fisico influisce negativamente sulla prestazione. L'unica parte del corpo difficile da scaldare sono le mani, per cui nelle giornate più fredde può essere preferibile indossare un paio di guanti, anche se rimane sempre una scelta soggettiva. 
 
Sorrido sempre quando vedo quelle persone che corrono al parco vestiti come degli esquimesi, per non parlare di quelli che indossano il K-Way. Molti di loro sono condizionati da antichi luoghi comuni dello sport, illudendosi quindi di perdere peso attraverso l'abbondante sudorazione, Ignorano che si tratta di un risultato effimero. La perdita di peso generata dall'abbondante sudorazione si recupera alla prima bevuta e quindi il sacrificio è assolutamente inutile.

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sabato 27 novembre 2010

Alzati e Corri - Mi raccomando...le scarpe!

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Mi raccomando...le scarpe!
 
Ero molto soddisfatto di quel primo allenamento e una sorta di entusiasmo stava crescendo in me. Durante quel sabato il mio pensiero andò molto spesso alle sensazioni provate durante quei 21 minuti.
 
La sera ne parlai con un amico che aveva il "vizio della corsa" e come tutti i "drogati di questa disciplina" mi travolse con i suoi racconti e soprattutto con la descrizione delle sue performance. Allora non potevo afferrare il senso dei suoi "4.00 a km", ma il suo entusiasmo non arginabile risultò contagioso rispetto al mio.
 
Poco prima del congedo mi fece una domanda scabrosa: "con che scarpe hai corso?". Cercai di cambiare argomento, ma un runner non molla mai sulla questione delle scarpe. Confessai di essermi allenato con un paio di scarpe da ginnastica qualsiasi, esponendomi al suo deciso rimprovero e alla descrizione di tutti i possibili infortuni a cui andavo incontro. In quel momento mi tornarono in mente le raccomandazioni di Max, codificate anche nella sua tabella di allenamento. Mi sentivo un po' meno entusiasta e un po' più angosciato.
 
Quando ci salutammo il mio amico mi salutò con un secco: "mi raccomando...le scarpe!".
 
Questa frase è stata quindi una sorta di “leit motiv” che ha accompagnato il mio approdo al podismo. Sin dalla prima sessione di allenamento, mi sono sentito ripetere questa raccomandazione: “c’è una sola cosa importante nella corsa… le scarpe!”.
  
Dopo una ventina di giorni che mi allenavo, preparandomi all’esordio nella “Corsa di Miguel” sono stato afflitto da un dolore insistente al ginocchio che è scomparso solamente dopo un paio di settimane. In quel periodo mi sono consigliato con altri podisti più esperti di me e tutti mi hanno ripetuto la solita domanda: “ma che scarpe usi?”.  
 
Inutile dire loro che le mie erano scarpe di livello, scelte con accuratezza sulla base del mio stile di corsa, delle mie caratteristiche fisiche; la perplessità rimaneva leggibile negli sguardi dei miei interlocutori oppure nei silenzi che intercorrevano nelle telefonate.
  
Prima della Roma-Ostia chiamai un mio amico che faceva servizio volontario nella Croce Rossa, per sapere se fosse presente nel percorso e magari a quale chilometro; seguendo una tipica abitudine italiana avevo pensato che una raccomandazione alla Croce Rossa non facesse poi così male. Chiaramente si trattava di un modo scherzoso di esorcizzare la mia tensione della vigilia. Il mio amico confermandomi la presenza mi dava il suo consiglio da esperto: “mi raccomando, scarpe e calzini buoni, altrimenti ti riempi di vesciche”.
 
Praticamente un’ossessione!
  
Ogni volta che sentivo ripetere questa frase mi tornava alla mente una storia che mi raccontava mio zio, quando ero bambino. Era la storia di un’atleta etiope che nel 1960 aveva vinto la Maratona olimpica di Roma correndo scalzo. Si trattava del mitico Abebe Bikila. La sua fu una grande impresa anche perché era il primo atleta africano ad aggiudicarsi una medaglia d’oro olimpica.
   
Molti hanno di questa atleta un’immagine falsata, di uno sprovveduto che non conosceva l’uso delle scarpe, anche per l’atteggiamento della stampa di allora. Invece si trattava di un’atleta molto accorto, che decise di correre scalzo per una precisa scelta tecnica concordata con il suo allenatore, lo svedese Niskanen, anche per riprodurre il suo tipico stile di allenamento. Interrogato su questa curiosa scelta alla fine della gara, l’etiope rispose in modo abilmente retorico: “Ho voluto che il mondo sapesse che il mio Paese, l’Etiopia, ha sempre vinto con determinazione ed eroismo.”
  
Bikila chiuse la Maratona di Roma con il tempo di 2h 15’ 16”, nuovo record del mondo. Un grande atleta che quattro anni dopo, all’Olimpiade di Tokyo, bissò il suo successo, correndo stavolta con un paio di scarpe. Il vincitore della Maratona di Roma 2010, Siraj Gena, per onorare i 50 anni dalla vittoria delle Olimpiadi del 1960 decise di tagliare il traguardo senza scarpe.
  
Sono andato un po' avanti, introducendo il problema al ginocchio e la Roma-Ostia. Torniamo indietro al primo allenamento e al problema delle scarpe. Quella sera avevo preso coscienza di un problema che rischiava di troncare sul nascere la mia "carriera" podistica.  
 
Il giorno dopo avrei affrontato il problema delle scarpe.
 
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Alzati e Corri - Il primo allenamento

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo Il primo allenamento
 
E così eccomi lì, intenzionato a provare una "nuova strada" per ritrovare il mio benessere.
 
Allora non avrei potuto immaginare che, in quella direzione, avrei fatto così tanta strada. Chilometri e chilometri, nel tentativo di "stare bene", sia fisicamente sia psicologicamente, perché se si vuole ottenere un risultato consolidato, la dimensione fisica e quella psicologica devono svilupparsi in modo equilibrato. Non avrei mai creduto che la corsa mi sarebbe "entrata dentro" in quel modo, diventando un riferimento costante della mia vita.

Anzi, se proprio la vogliamo dire tutta, mi accingevo a fare quel tentativo, pensando a uno dei miei tanti tentativi fatti nella stessa direzione. Devo dire che nella mia vita le avevo provate un po' tutte per sentirmi meglio, dalle discipline sportive più disparate ai regimi alimentari più sconosciuti. Tra i miei amici ero famoso per le mie "infatuazioni" ma non certo per la costanza con cui perseguivo questo grande obiettivo.  Mi avvicinavo alla corsa con lo stesso approccio e quindi anche con lo stesso disincanto che ormai avevo maturato negli anni. 

Ma torniamo alla tabella di allenamento. Come tutto ciò che può essere classificato come un "buon proposito", anche il programma ricevuto da Max era strutturato in settimane e quindi per iniziare di "lunedì". Però, e questa era una vera anomalia, prevedeva un allenamento facoltativo da effettuarsi nel weekend precedente, e considerato che nella tabella veniva imposta la logica dell'alternanza dei giorni di allenamento e di riposo, quell'allenamento facoltativo non poteva che essere svolto di sabato.
 
Va detto che la tabella era veramente "subdola", perché al suo interno era strutturata per fornire una risposta a tutti gli alibi che tipicamente abbondano nella mente del divanista. I primi allenamenti erano molto brevi e a bassa intensità e poi veniva fortemente sconsigliato qualsiasi comportamento "eccessivamente sportivo". Nelle pagine che costituivano il programma di allenamento Me-Up abbondavano frasi come: "non andare mai oltre i tempi e i ritmi consigliati...", "non fare mai due giornate di allenamento consecutive...". Insomma quella tabella di allenamento era maledettamente "rassicurante" anche per uno che come me non pratica sport da molti anni.
 
Dopo aver letto e riletto i contenuti di quella tabella e nonostante il mio tormento interiore, decisi che sabato 27 novembre sarebbe stato "il grande giorno", il giorno in cui avrei iniziato la mia nuova avventura.
 
La parte razionale della mia mente tentò un ultimo estremo atto di resistenza: venerdì sera mi resi infatti conto che non avevo un equipaggiamento adatto allo scopo. Mi recai in cantina alla ricerca di materiale sportivo adeguato, forse con la speranza interiore di fallire e di dover rimandare ancora l'appuntamento fatale con la corsa. La mia cantina è una specie di "museo delle occasioni fallite" e in mezzo alle tante cose inutili che ne saturano gli spazi, è infatti possibile reperire un equipaggiamento specializzato per ognuna delle discipline sportive previste dalla lista degli sport del Comitato Olimpico, a parte la corsa.
 
La tabella non dava peso alla questione dell'equipaggiamento, tranne che per le scarpe, che rappresentano una vera ossessione all'interno della comunità podistica. Secondo questa forma di ossessione, correre anche solo 10 minuti senza avere una scarpa adatta al proprio fisico e alla propria postura significa compromettere per sempre le proprie capacità deambulatorie. 
 
Cercavo di richiamare le decine di consigli che avevo trovato su Internet, mentre scartavo la maggior parte degli indumenti che uscivano fuori dalle decine di borsoni che popolano la mia cantina e che ormai sono un tutt'uno con essa. Scartai le polo tennistiche, le scarpe da golf, i k-way multidisciplinari, rassegnandomi infine a ricorrere alla mia dotazione "calcistica". Un "pallonaro" come me alla fine non poteva che sentirsi maggiormente a suo agio con il materiale tipico di questo sport. 
 
Tranne che per le scarpe, selezionate tra le decine di paia di scarpe da ginnastica che ormai risiedevano in stato di abbandono nella mia cantina, il resto dell'abbigliamento scelto era una selezione un po' accozzagliata del mio passato calcistico. E non mi feci mancare neanche uno dei principali abbinamenti preferiti dal "calciatore in allenamento": il pantaloncino da calcio sopra la "mezza tuta". Ricorsi anche al "mitico" cronometro che aveva accompagnato la mia esperienza di "dirigente accompagnatore", un cronometro con per le sue dimensioni extra-large non sembrava così adatto a scandire i tempi della mia esperienza podistica.
  
Il mio equipaggiamento era molto arrangiato, ma in fondo anche l'ultimo dei miei alibi era crollato: il 27 novembre del 2010 entravo nel Parco delle Sabine per il mio primo allenamento podistico.
  
Un minuto di corsa e due di camminata veloce da ripetere sette volte, per un totale di 21 minuti di allenamento. Affrontai la prova in "scioltezza" anche se trovai conferma di tutte le teorie sulla relatività del tempo: il minuto di corsa era infatti molto più lungo dei due minuti di camminata veloce, maledettamente rapidi.  
 
Alla fine dell'allenamento mi resi conto con piacere di essere nelle condizioni di fare ancora qualche ripetizione, ma il diktat previsto dalla tabella risuonò forte nella mia mente: "Non andare mai oltre i tempi e i ritmi consigliati!!!", e quindi me ne tornai a casa con un passo così lento da non lasciare dubbi sul fatto che la mia sessione di allenamento fosse già terminata.
 
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giovedì 18 novembre 2010

Alzati e Corri - La scossa

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo La scossa
 
 
Ritorniamo a quel fermento che covava nel mio "io" più profondo, così profondo da restare dentro di me senza emergere e trasformarsi in un azione concreta che restituisse dinamicità al mio fisico.
 
Serviva quindi un fattore scatenante in grado di attivare una reazione energetica che mi consentisse di superare il mio stato di inerzia e di sollevarmi definitivamente dal divano.
 
Il fattore scatenante fu rappresento da una persona in carne e ossa, un collega di lavoro che per pura passione aveva intrapreso un percorso da “motivare”: Max Monaco, ideatore del progetto MeUp (oggi evoluto nel progetto 6più). Questo progetto trovava la sua concretizzazione in un seminario motivazionale che usava la corsa come stimolo per rimettersi in gioco, abbandonando quelle che Max definiva le convinzioni limitanti.
 
E così il 18 novembre del 2010 mi ritrovai quasi per caso in una enorme sala gremita di gente a seguire la performance di Max “il motivatore”. La mia partecipazione fu caratterizzata da un certo scetticismo, tipico di una mente razionale come la mia, troppo razionale per lasciarsi coinvolgere in quella che all'apparenza sembrava quasi una terapia di gruppo. A onor del verso devo dire che alcune parti del programma avevano attirato la mia attenzione, ma non furono sufficienti ad abbattere completamente le mie barriere difensive.
 
Ogni tanto Max richiamava questa sfida podistica che consisteva nella partecipazione ad una gara di 10 km, rafforzando ulteriormente il mio sistema difensivo. Max affermava che per raggiungere l’obiettivo sarebbero stati sufficienti solo due mesi di preparazione, perdendo ai miei occhi molta della credibilità che aveva acquisito nella parte iniziale del seminario. In quel momento nella mia testa 10 km di corsa corrispondevano in termini di difficoltà alla scalata del Monte Everest, un’impresa al di fuori della mia portata. Pensare di scalare il Monte Everest con due mesi di preparazione era un’assurdità e in quel momento Max, più che un motivatore, mi sembrava un millantatore, uno spacciatore di illusioni. Anche la proiezione di immagini che rappresentavano persone comuni che avevano tagliato quel fatidico traguardo rafforzate dalle testimonianze in sala, non erano state sufficienti a convincermi della fattibilità del progetto.
 
E poi avevo tutto il “rosario” dei mie alibi da utilizzare, a partire dal più efficace di tutti, quel “non ho tempo” che escludeva ogni possibilità di replica.
 
Alle mie spalle era seduto un mio ex collega che sembrava avesse deciso di recitare il ruolo del “grillo parlante”. Ogni volta che Max ritornava a parlare della sfida podistica, il "grillo parlante" si avvicinava al mio orecchio per sussurrarmi un “dovresti provarci”.
 
Devo precisare che la gara prescelta da Max per questa sfida era la “Corsa di Miguel”, una corsa che aveva un elevato valore simbolico essendo dedicata alle vicende di un ragazzo argentino che per la sua voglia di libertà era diventato una vittima del sanguinario regime di Jorge Rafael Videla, diventando uno dei tanti “desaparecidos”.  Conoscendo bene le mie idee e i miei valori, il "grillo parlante" usava argomentazioni ancora più subdole per indurmi a partecipare, giocando sulle mie emozioni. Ad un certo punto mi ritrovai a pensare che fosse pagato da Max come reclutatore di vittime innocenti da asservire alla sua causa.
 
Comunque per evitare eccessivi coinvolgimenti abbandonai il seminario poco prima che si passasse ad illustrare il programma di allenamento. Quella parte non mi riguardava. Almeno così pensavo in quel momento, ignorando che ormai il virus della corsa mi era stato inoculato e che sia ”il motivatore” sia “l’agente reclutatore” avevano ottenuto il loro obiettivo, e una nuova anima dannata era destinata a finire nel “girone dei runner”.

Passai un weekend nel mia solito stato di inquietudine, quello che si impadronisce di me tutte le volte che una nuova idea comincia a farsi strada e a prendere il sopravvento. Il lunedì mattina feci una mossa che sarebbe risultata decisiva, anche se continuavo a negarlo pure a me stesso. Inviai una mail al “motivatore” chiedendogli di poter vedere la tabella di allenamento...ma solo per curiosità.
 
Per tutta risposta ricevetti una mail che conteneva una sorta di “contratto morale” con il quale mi impegnavo a perseguire l’obiettivo di tagliare il traguardo di una gara di 10 km, che nel caso specifico la già citata Corsa di Miguel, nei tempi imposti dalla tabella.
 
Rimasi spiazzato e replicai a quella mail rifiutando l’accordo, e giustificando questo mio rifiuto con un elenco infinito di alibi. Utilizzai anche il “c’ho avuto la malattia…” di sordiana memoria, facendo riferimento alla malattia autoimmune che alcuni anni prima aveva attaccato duramente le mie articolazioni, creandomi seri problemi di deambulazione.
 
Quello scambio di mail sembrava mettere definitivamente la parola fine ad ogni mia ambizione podistica. Invece il “motivatore” ne sapeva una più del diavolo ed era sempre più determinato a impossessarsi della mia anima. Così nonostante il mio rifiuto a sottoscrivere “il contratto”, mi inviò una nuova mail che includeva la famosa tabella di allenamento.

Ormai il virus si era insinuato nella mia mente e mi ritrovavo spesso ad aprire e rileggere quella tabella di allenamento cercando un motivo valido per non aderire al programma, ma più la leggevo e più mi convincevo che in fondo l’impresa si poteva tentare.
 
Ripensai mentalmente alle parole della mia reumatologa, parole pronunciate tanto tempo prima, ma scolpite nella mia memoria: “Lei in futuro dovrà evitare gli sport traumatici o comunque quelli che sollecitano troppo le articolazioni, per intenderci niente calcio, tennis e soprattutto niente corsa”.
 
Allora quelle parole non mi avevano infastidito troppo, pensavo che si potesse sopravvivere senza sport, e poi la corsa non mi era mai piaciuta, l’avevo sempre trovata noiosa. Anche quando giocavo a calcio, da ragazzo, la cosa che avevo sempre odiato di più erano i “giri di campo” che precedevano ogni allenamento.
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