lunedì 19 gennaio 2015

Ma chi me lo fa fare? Riflessioni dopo la "3 Comuni"

Ora non vi aspettate il solito articolo polemico nei confronti dell'organizzazione di una gara, in questo caso la "3 Comuni", perché così non è. La "3 Comuni" è una gara molto bella e molto ben organizzata, rispetto alla quale non posso che fornire giudizi positivi.
 
Quel "ma chi me lo fare" è la domanda che mi ripeto prima di ogni gara a partire dal momento in cui la sveglia interrompe i miei "sogni". Un mantra che accompagna la mia esperienza podistica fin dall'inizio, una specie di tributo che pago al mio status di "divanista pentito", ma forse non "troppo pentito". 
 
Me lo ripeto quando sposto le coperte e sento il tepore del mio letto svanire inesorabilmente. Me lo ripeto ancora quando avanzo silenziosamente dentro casa per non disturbare i miei familiari, che continuano a dormire profondamente. Me lo ripeto quando esco di casa e sento il freddo del mattino sferzarmi il volto. Me lo ripeto costantemente fino al momento della partenza, quando rifletto sulla mia condizione di cinquantenne che gioca ancora a fare il "ragazzino", sgambettando in maglietta e pantaloncini.
 
La "3 Comuni" non è sfuggita a questa tradizione, anzi. La prospettiva di affrontare un percorso di 23 km così impegnativo, che raggiunge il suo apice con la temibile salita dei "Millecori", ha reso  la domanda ancora più pertinente. E la domanda ha continuato ad albergare nella mia mente fino al momento in cui quel lungo fiume di persone ha iniziato a scorrere in direzione Nepi.
 
Da quel momento in poi si è ripetuta la solita magia e il senso di questa passione si è rivelato improvvisamente in tutta la sua essenza. E alla fine di questa immane fatica, vedere l'immagine del traguardo profilarsi di fronte al mio sguardo, ha reso tutto più chiaro, fornendo la soluzione all'enigma, il nome dell'assassino di questo avvincente giallo, la risposta a questa eterna domanda.  
 
La gioia di sentirsi parte di questo magico flusso vitale che si snoda lungo il percorso, sfidare i propri limiti fisici e mentali, affrontare le asperità, provare la paura di non farcela, percepire i segnali del fisico, ma anche quelli della testa, tutto contribuisce a rendere questi momenti unici e irripetibili e a regalare emozioni altrimenti difficili da provare.
 
E poi ci sono i compagni di percorso, quelli incontrati per la prima volta piuttosto che quelli con cui hai condiviso altre avventure, a volte i tuoi compagni di squadra, come Chiara, Carmine, Maria, Antonella, Roberta, Valter, solo per fare riferimento alla corsa di ieri. Quel sentirsi squadra senza rinunciare alla propria individualità, quelle frasi di incoraggiamento che servono a spronare, ad incitare, a convincere un compagno a seguirti, a non mollare la tua scia, mentre un'altra parte del tuo "io" prova soddisfazione nel distanziarlo.
    
Ecco cosa me lo fa fare, ecco cosa mi regala le motivazioni necessarie ad affrontare fatica, sudore e sacrifici. Ecco cosa mi porta appena giunto al traguardo a pensare al prossimo obiettivo, alla prossima corsa, alla prossima sfida. Già, la prossima sfida, la Corsa di Miguel.