lunedì 7 luglio 2014

Saggezza o debolezza?

Questa riflessione ruota intorno alla mia ultima partecipazione all’Ultra Trail dei Monti Simbruini (UTMS), una gara con la quale volevo entrare nel “gotha” degli ultratrailer, che, per chi non fosse molte esperto della materia, sono quei runner in grado di superare la fatidica soglia dei 42 km in gare di Trail Running, che si svolgono su percorsi "in natura" e generalmente molto impegnativi.
   
Avevo deciso di lanciare questa sfida "a me stesso" in occasione del compimento dei miei 50 anni e per questo avevo scelto l’UTMS, perché dichiarato inizialmente come una Trail di 50 km, ma che poi nel tempo si è "allungato” raggiungendo i 56 km ufficiali, e, secondo qualcuno dei finisher, i 58 effettivi.
   
Ieri la partecipazione alla gara e la decisione di ritirarmi al 38’ km, ritiro “ponderato” e “attuato” a fronte di una valutazione che ha tenuto conto  delle oggettive difficoltà di un percorso molto duro, e aggiungerei "troppo duro" per le mie capacità. Ritiro che ho affrontato con la massima serenità e senza alcun rimpianto, e che mi ha permesso di tornare a casa tutto intero e in buono stato. Alzarmi questa mattina senza alcun dolore, se non un leggero risentimento dovuto a una caduta occorsa nei primi chilometri di gara, è diventata “la mia personale medaglia”.
Al di là di questa sintesi, mi sono chiesto razionalmente, se questo ritiro rappresenti per me un segnale di saggezza oppure di debolezza
  
Partire con un obiettivo e poi rinunciarci a prova "in corso", senza una costrizione (come un infortunio), potrebbe essere interpretato facilmente come un segnale di debolezza, di mancanza di determinazione e spirito di sacrificio. Usando espressioni molto “gettonate” nello sport, potrei dire che alla prova dei fatti non sono stato capace di “stringere i denti”, di “soffrire”.

Del resto ero stato informato che si trattasse di una gara molto impegnativa e su una distanza per me proibitiva (anche se la realtà è andata oltre la previsione) e quindi avevo tutti gli elementi per decidere preventivamente di “non partecipare”, considerata anche la mia condizione attuale di scarsa forma. Aggiungo che leggendo la descrizione del percorso, pubblicata da un sito web, avevo compreso che la parte peggiore l’avrei incontrata a partire dal 31’ km, a cominciare cioè dall’ascesa al Monte Tarino. Da lì in poi sarebbero state “lacrime e sangue”. 
 
Però ho deciso di provarci lo stesso e di confrontarmi con le asperità del percorso, anche se avevo maturato la quasi certezza che non sarei riuscito a completare i 56 km nel tempo limite di 12 ore. Questo può essere un argomento che va a favore dei teorici della “debolezza”, perché partire con la convinzione di non farcela, significa partire sconfitti.
  
Posso anche aggiungere che già al ristoro del 30’ km, avevo pensato di ritirarmi e questo consapevole di che cosa mi avrebbe atteso nei 26 km successivi. Però sono ripartito, spronato dal mio compagno di viaggio Fabrizio, e ho affrontato la maestosità del Monte Tarino, per poi decidere il ritiro al raggiungimento del successivo ristoro. Sono certo che se mi fossi ritirato al 30’ km avrei vissuto questo ritiro con sofferenza, mentre al 38’ km l’ho potuto affrontare con la massima serenità, perché in quel tratto di 8 km durissimi e molto tecnici ho compreso che se avessi continuato sarei andato oltre le mie capacità, oltre i miei limiti.
   
Ora sui limiti potrebbe innestarsi un dibattito infinito, basato sulla dicotomia tra limiti mentali e fisici, rischiando di finire vittima di chi sostiene la teoria che i limiti fisici non esistono e che i limiti sono tutti mentali. Una teoria che non condivido. Sono certo che la maggior parte delle nostre scelte sono condizionate da limiti di carattere mentale, che sono quelli che ci impediscono “di partire”, “di provarci”, Ma una volta superati i limiti di carattere mentale, dobbiamo acquisire una corretta consapevolezza dei limiti fisici. Liberandoci dei limiti mentali possiamo cioè “alzare l’asticella”, ma non possiamo “alzarla” all’infinito.

Ma cosa è successo esattamente dal 31’ al 38’ km? E’ successo che il percorso è cambiato “drammaticamente”, diventando estremamente tecnico. Tanto per intenderci non sono più riuscito ad infilare due passi di corsa in sequenza, non tanto per la stanchezza, quanto per la sensazione di insicurezza e di rischio dovute alle pendenze e alla conformazione del terreno. 
  
La certezza che dopo il ristoro del 38’, avrei dovuto affrontare altri 18 km molto tecnici e  caratterizzati da salite impervie e discese “pericolose”, mi ha fatto maturare la convinzione razionale che avevo raggiunto i miei limiti, almeno quelli attuali, e che era “giusto” prendere questa decisione.

Giusto per me, ma anche giusto nei confronti degli organizzatori. 
   
Questa convinzione di aver maturato la decisione “giusta”, di aver mantenuto un senso del limite, mi portano a pensare che la mia decisione sia stata questa volta una dimostrazione di saggezza.
   
Aggiungo un’altra cosa: nelle mie meditazioni su cosa la “corsa” rappresenta per me, su quali siano le motivazioni che hanno portato, Mr ZAC, a diventare un runner appassionato, non posso e non devo  dimenticare le dimensioni del “divertimento” e del "benessere".  Anche quando “soffro”, perché la corsa per me è anche sofferenza fisica e mentale, anche quando metto a dura prova me stesso, le dimensioni del “divertimento” e del "benessere", rappresentano per le motivazioni principali. La corsa per me on può essere ridotta al raggiungimento di un traguardo. Anche perché il mio vero traguardo è nell’impegno che ci metto per migliorarmi, è nella decisione di partire, di provarci. Arrivare e superare il traguardo fisico, rappresentato dall’arco di gomma, è importante, bello ed emozionante, ma non deve mai farmi dimenticare i veri motivi per cui corro. E la sofferenza non deve mai prevalere sul “divertimento" e sul "benessere". 
   
Ieri dal 31’ al 38’ km, ho maturato la convinzione che se avessi continuato avrei sacrificato la dimensione del “divertimento”. In cambio di cosa? Di una medaglia, della gratificazione di dire ce l’ho fatta, o del piaceredi sentirmi dire dai miei amici che sono un eroe? 
    
Aggiungo a mio favore che se solo 3 anni fa qualcuno mi avesse detto che avrei fatto 38’ km in quelle condizioni, lo avrei “segnalato” per un ricovero coatto in qualche clinica psichiatrica. Aggiungo anche che i veri amici sono sempre pronti e a sostenerti anche di fronte a un cedimento, mentre i finti amici sono pronti a giudicarti sempre, nel bene e nel male.  
  
Sono quindi convinto che ieri la mia sia stata una scelta saggia, anche un po' coraggiosa e quindi questa volta l'applauso me lo faccio da solo, segno che il raggiungimento dei 50 anni qualche riflesso positivo lo ha avuto. 
  
Chiudo con questa bella frase di Giorgio Faletti (scomparso da pochi giorni) che sottolinea questo mio momento: "Ma il coraggio è anche questo. La consapevolezza che l’insuccesso fosse comunque il frutto di un tentativo. Che talvolta è meglio perdersi sulla strada di un viaggio impossibile che non partire mai..."

Mr ZAC

PS  Mi scuso con i miei "compagni di viaggio" ai quali ho motivato il mio ritiro con un problema fisico. In effetti il doloretto al ginocchio c'era, ma non ha avuto alcun peso sulla mia decisione. Non volevo "farmi convincere" a recedere dal mio proposito e volevo che loro affrontassero il finale di gara senza troppi condizionamenti.

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