domenica 23 gennaio 2011

Alzati e Corri - La Corsa di Miguel

Alzati e Corri
dal divano alla Maratona in 365 giorni
Capitolo La Corsa di Miguel
  

Era arrivato il grande momento di mettermi alla prova con la prima corsa della mia vita, alla “veneranda” età di 46 anni. Domenica 23 gennaio 2011, una data che avrei ricordato.
 
Quella mattina mi svegliai all'alba, dopo una notte molto agitata. Guardai e riguardai tutto l'equipaggiamento che avevo distribuito la sera prima sul tavolo del soggiorno. Su tutto spiccava quella canotta orange con il pettorale 2891. La "lezione sull'abbigliamento", sulla necessità di mantenersi leggeri, evidentemente non l'avevo ancora compresa bene, e guardando il cielo plumbeo finì per aumentare gli strati di protezione.  

Arrivai allo Stadio Paolo Rosi con largo anticipo, un classico per me, ma con sorpresa trovai l'area destinata alle società sportive in pieno delirio. Faticai a trovare i gazebo della Podistica Solidarietà. Singolare che il primo gazebo che incontrai fu quello dei Lazio Runners, un trionfo di colori bianco e blu e soprattutto di Aquile. Considerata la mia passione calcistica, lo interpretai come un segno del destino.
 
Arrivai finalmente a "casa orange" dove mi accolse un sorridente Pino Coccia, che volle presentarsi di persona, augurandomi un buon esordio. Mi colpì il suo tono "familiare" e questo mi fece sentire immediatamente a mio agio. Notai i preparativi febbrili, il clima di eccitazione che mi circondava ovunque e che aumentava con il passare dei minuti. Arrivò anche Max che mi dispensò alcuni importanti suggerimenti. A un certo punto mi scontrai quasi con Laura, un'amica che non avrei mai immaginato di incontrare in quella situazione, e che scoprì in quel momento essere una runner appassionata.
 
L'ora della partenza si avvicinava e il clima di eccitazione cresceva. La pista dello stadio era piena di runner che completavano il loro riscaldamento, mentre io mi sentivo completamente paralizzato. Mi inserì nel flusso di podisti che si recavano verso le griglie di partenza con lo stesso entusiasmo di un carcerato che percorre "l'ultimo miglio". L'ingresso in griglia segnava una sorta di "spartiacque" tra l'andare il non andare. Circondato da migliaia di podisti mi resi conto che ogni possibile via di fuga mi era preclusa: "il dado era tratto".
 
Il colpo dello start arrivò inesorabile, e la marea di runner cominciò a muoversi verso l'arco che segnava ufficialmente l'inizio di quella avventura. Vedevo gli altri podisti sfrecciarmi davanti, colti da una strana euforia, mentre io mi mantenevo guardingo e timoroso. Al cartello del primo chilometro consultai il mio cronometro, scoprendo di aver impiegato esattamente 6 minuti. Avevo spesso pensato a quel particolare "ritmo", che mi avrebbe consentito di chiudere la gara in un'ora. In realtà non avevo alcuna idea di come poterlo mantenere e invece lo avevo ottenuto "casualmente".

Mi accorsi che un'atleta della mia stessa squadra correva davanti a me mantenendo il mio stesso ritmo. Più avanti avrei scoperto che si chiamava Carla, ma allora era per me una perfetta sconosciuta. La sua corsa era regolare ed era anche facile da seguire a causa di una folta capigliatura che la rendeva riconoscibile anche a una certa distanza, nonostante il turbinio di runner che attraversavano lo spazio che ci separava. Riuscì a seguirla per almeno 7 chilometri, mantenendo quel ritmo di 6 minuti a chilometro. Poi lei allungò e io comincia a crollare, ma ormai il traguardo si stava avvicinando.
  
Attraversai Ponte Milvio in evidente difficoltà ma tenni duro fino all'ingresso dello Stadio Paolo Rosi. Gli ultimi metri sulla pista di atletica furono i più difficili, ma finalmente il traguardo si materializzò sulla mia testa.

Ce l'avevo fatta, completando il percorso di 10.200 metri in poco più di un'ora, esattamente in 61 minuti e 43 secondi. Provai una gran bella soddisfazione, soprattutto per aver superato quei limiti che appena un paio di mesi prima mi apparivano insormontabili. Quei limiti che Max avrebbe chiamato le "convinzioni limitanti", limiti che esistono esclusivamente nella nostra testa.
    
Quel risultato lo dovevo certamente agli amici di MeUP, ma lo dovevo soprattutto a me stesso, per averci creduto con ostinazione, anche quando il ginocchio aveva cominciato a farmi male, perseguitandomi per 18 lunghi giorni.

Una parte del merito lo dovevo assegnare anche alla Podistica Solidarietà, perché correre con quella canotta mi aveva fatto sentire parte di una grande squadra. Dovevo ringraziare anche Carla, per avermi inconsapevolmente trainato per quasi 7 chilometri.

Salutando gli atleti della Podistica Solidarietà, ancora inebriato da quella sensazione positiva, mi lasciai sfuggire un "alla prossima", già perché in quel momento sentivo che ci sarebbe stata "una prossima". La corsa mi era entrata definitivamente "dentro".
    
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