domenica 26 ottobre 2014

Chocomarathon, così non va...

Non ho statistiche precise sull'argomento, ma la percezione è che il movimento podistico stia continuando a crescere, soprattutto sul piano dei numeri. Il calendario è ormai saturo e ogni weekend si contendono la scena un numero significativo di eventi di rilievo. Anche la partecipazione è in continuo aumento, così come le associazioni podistiche.
 
Ma un movimento non può crescere solo dal punto di vista quantitativo, e anche la qualità ha la sua importanza. Chi si assume la responsabilità di organizzare un grande evento, come lo era la Chocomarathon di oggi, deve assicurarsi di avere i mezzi e le capacità per farlo. Deve accertarsi di poter garantire un servizio qualitativamente all'altezza delle legittime aspettative di chi vi partecipa.
  
Ora non vorrei accanirmi nei confronti di questa competizione e di questa organizzazione, perché il mio è un discorso più generale. Io sono molto tollerante nei confronti delle organizzazioni, perché comprendo quanto sia complesso organizzare grandi eventi podistici, soprattutto in questo momento, con gli effetti della crisi economica, che comprime le risorse, e con la scarsa cultura sportiva del popolo italiano. Però ci sono dei parametri di qualità che non possono essere ignorati.
Personalmente non assegno grande importanza a indicatori come il contenuto del "pacco gara", che invece sono spesso oggetto di discussione: ho già una casa piena di "maglie tecniche", che ogni tanto sono costretto a regalare per mantenere una sana convivenza civile nella mia famiglia.
 

Sorvolo anche sull'accoglienza e sull'organizzazione dei servizi di base, perché mi accontento di poco, mentre invece assegno particolare importanza a 3 indicatori che ritengo irrinunciabili:
  • la qualità del percorso;
  • la sicurezza dell'atleta;
  • l'organizzazione dei ristori, soprattutto quelli intermedi.
Oggi, ritengo che rispetto a questi indicatori, l'organizzazione della Chocomarathon sia stata decisamente insufficiente.
 
Il percorso era privo di punti di interesse e si è consumato all'interno di frazioni industriali tipici di una qualunque periferia di una qualunque città italiana. Possibile che in una zona meravigliosa come quella di Perugia non si riesca a ricavare nulla di meglio?
La sicurezza dell'atleta era messa costantemente a rischio dall'infiltrazione di macchine sul percorso di gara, macchine che spesso affrontavano la strada contro mano rischiando di creare incidenti che avrebbero sicuramente avuto un pericoloso riflesso sui corridori. E poi non si possono affrontare salite così impegnative respirando così grandi quantità di monossido di azoto.
 
I ristori erano disorganizzati al massimo, costringendo gli atleti a lunghe soste per ottenere un bicchiere di acqua e solo un bicchiere d'acqua, perché non c'era null'altro. L'unico bicchiere di sali l'ho visto al ristoro del 20' km, quando la corsa, per chi faceva la mezza, era praticamente finita. Se oggi fosse stata una giornata leggermente più calda la situazione sarebbe stata disastrosa.
 
Mi dispiace, ma così non va. Certo, gli imprevisti sono all'ordine del giorno per qualsiasi organizzazione, ma quando si organizza un evento di questo livello, con migliaia di partecipanti, non si possono trascurare questi aspetti.
   
Saltando "di palo in frasca", devo segnalare una situazione che mi ha convinto che non si può mai correre con le "cuffiette" e che coloro che lo fanno andrebbero squalificati ed estromessi dal percorso. Non ne faccio una questione di "doping", ma di sicurezza. Oggi un'ambulanza ha rischiato di travolgere due atleti che non avevano sentito il suono della sua sirena perché ascoltavano entrambi musica ad alto volume. Morale: le cuffiette si usano "al parco", non sulla strada.

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