lunedì 28 novembre 2011

La mia prima Maratona, con un avversario in più

La mia prima Maratona, corsa a Firenze il 27 novembre del 2011 (365 giorni dopo il mio primo allenamento) con un avversario in più: Montezuma.

Avrei voluto raccontare questa gara in una forma mitologica, tracciando un parallelo con le leggende che accompagnano questa corsa. O forse l’avrei voluta raccontare in forma filosofica, tracciando un parallelo tra l’esistenza di ognuno di noi e la Maratona. Avrei voluto parlarvi del mio anno di corsa che si celebrava proprio il 27 novembre. Avrei voluto citare chissà quante canzoni, poesie e tutto quello che di più aulico poteva venirmi in mente, in linea con l'emozione di aver disputato la mia prima Maratona.

Invece sono costretto a raccontare della mia sfida a Montezuma, il diavoletto dispettoso che si è installato nel mio corpo, anzi nel mio intestino, durante la settimana e che ha sottoposto il mio fisico alle peggiori angherie, cercando di dissuadermi prima e di farmi ritirare poi.  Forse Montezuma non era altro che la parte saggia di me che ha cercato di mitigare la mia parte più avventuriera, costringendomi ad un atteggiamento più prudente di quello che avevo disegnato nel mio cervello. Un mio amico del resto dice sempre che nulla accade per caso. Comunque questa è un'altra storia, troppo filosofica, esistenziale, non adatta a questo resoconto, che visto la “delicatezza” dell’argomento dovrò per forza raccontare in chiave ironica.

Già perché la mia vera Maratona, inizia il giovedì precedente. Fino a quel momento tutto procedeva liscio: i miei allenamenti leggeri davano i giusti riscontri e le mie gambe volavano (si fa per dire) sui vialetti del parco. Avevo programmato ogni cosa e avevo acquistato tutto quello che serviva. Avevo valutato il percorso metro per metro, ero convinto di avere una risposta per ogni esigenza, e una soluzione a qualsiasi problema. Sarebbe stata la mia Maratona ideale, perché l’avevo studiata con cura. Il piano era perfetto, almeno così credevo.

Nel mio infallibile piano non avevo infatti considerato Montezuma.

Per la cronaca Montezuma fu un grande imperatore azteco che fu vittima come il suo popolo dei conquistatori spagnoli. Per questa ragione le terribili malattie intestinali che colpirono i conquistatori spagnoli negli anni della loro epopea vennero definite appunto: “la vendetta di Montezuma”.
Insomma avete capito che tratterò un argomento difficile e la cosa più difficile sarà parlarne senza eccessive cadute di stile. Ma se devo caratterizzare quella che è stata la mia prima Maratona, non posso esimermi da affrontare questo argomento.
Montezuma si è presenta sulla scena con un brivido di sudore freddo che attraversa il mio corpo mercoledì sera. Mentre stavo parlando con un collega, percepisco una strana sensazione e mi blocco. Solo un attimo, ma una brutta premonizione si è materializza nella mia mente. Mentre torno a casa mi sento più stanco del solito, ma preferisco non darci troppo peso.
 
La notte mi sono sveglio tutto sudato e realizzo che qualcosa non va…il dubbio era destinato a durare solo poche ore perché la bomba virale esplodeva con potenza, mettendomi completamente fuori uso. Alle 8.00 del mattino sono “spalmato” sul letto con la mente piena di immagini di vecchi film, immagini caratterizzate da marinai spagnoli in agonia. Penso a Firenze, al sogno che sta sfumando. A fatica mi alzo e accendo il computer. La prima notizia che leggo è che a Firenze hanno tracciato la linea verde da seguire durante la Maratona. In quel momento ho uno scatto d’orgoglio e mi dico: <<ce la farò lo stesso>>, ma neanche io sono troppo convinto.
 
I miei amici orange, generosi come sempre, mi riempiono di consigli: <<prendi quella pasticca...no non la prendere...mangia un brodino caldo...no, non lo fare>>. La discussione rimbalza dal sito della Podistica alle pagine di Facebook…ma insomma cosa devo fare. Questa volta, ed è la prima in assoluto, nessuno mi suggerisce di “cambiare le scarpe”.
Sto vaneggiando, mentre la febbre sale e io continuo a mentire con i miei familiari, cavandomela con un generico “solo qualche linea”. Mia moglie mi guarda e dice con fare imperioso: <<non starai pensando di farla lo stesso>>. Scrollo la testa in modo ambiguo: può essere un no, ma anche un sì.

Fortunatamente il venerdì la situazione tende a migliorare, anche se non riesco ancora ad alimentarmi adeguatamente. Nessuna cosa solida vuole restare abbastanza a lungo nel mio corpo per essere assimilata. Venerdì sera ostento un atteggiamento da “ballerino di flamenco”, per simulare una situazione di benessere e convincere i miei familiari che tutto è tornato a posto.
<<Insomma, a che ora partiamo?>>. Mia moglie che ormai mi conosce, non oppone più resistenza, anche se continua a scrollare la testa.

Il sabato, Firenze mi accoglie con un bel sole e quando scendo dalla macchina per tastare l’asfalto fiorentino, mi sento veramente bene. Penso di aver risolto tutto, ma forse sto solamente ingannando me stesso. Il pomeriggio all’EXPO vengo colto dalla “febbre della domenica mattina” e non ho più dubbi: il giorno dopo sarei stato ai blocchi di partenza. Il Presidente Pino Coccia mi dispensa i suoi ultimi consigli: <<se quando parti ti rendi conto di essere più stanco del solito, fermati, è il segnale che questo virus ti ha debilitato e non è il caso di fare 42 chilometri>>. <<Certo Presidente, mica sono così folle da correre senza essere nelle condizioni ideali per farlo>>. Mentre lo dico mi tocco il naso, in preda alla “sindrome di Pinocchio”.

La sera vengo raggiunto da telefonate di incoraggiamento di persone che non sento da anni: <<ma chi glielo ha detto che domani faccio la Maratona>>.

Nel frattempo guardo mio cognato osservare la mappa fornita dall’organizzazione, seguire con il dito il percorso tracciato sopra e scrollare la testa (evidentemente un vizio di famiglia), sottolineando quello che probabilmente considerava un primo segno di demenza senile. Mi guarda dubbioso e l’unica cosa che riesce a dire è un: <<ma sei proprio sicuro di volerlo fare?>>. Mia sorella aggiunge: <<ma è proprio necessario che tu li faccia tutti e 42?>>.

Arriva il momento di preparare le ultime cose e andare a dormire. Metto via tutti gli integratori e li sostituisco con il miele. Non mi pare il caso in quelle condizioni di usare prodotti che avrebbero potuto sollecitare eccessivamente il mio intestino. Guardo e riguardo ogni cosa. Predispongo le due sveglie (una si potrebbe rompere) puntandole sulle ore 6.00 e vado a dormire pregustando un sonno ristoratore. E’ mezzanotte quando chiudo la luce e non è ancora scoccata l’una quando riapro gli occhi in preda a un dolore lancinante.

Montezuma è tornato e resterà con me tutta la notte, fino alle 5.00 quando riuscirò finalmente a chiudere gli occhi. Mia moglie dorme, o fa finta di dormire. Cerco di non svegliarla in modo da evitare di sentirmi dire: “non starai pensando di farla lo stesso?”.

Prima di ritrovare il sonno raggiungo la consapevolezza: “No, non la farò, non sono in condizioni fisiche adeguate”. Ripeto questa frase molte volte prima di addormentarmi, ma furbescamente disinnesco una sola sveglia, mentre l’atra comincia a cigolare senza pietà allo scoccare delle ore 6.00.

Mi alzo come un automa, sono distrutto e preoccupato. La mia pancia sembra un campo di battaglia e non ho voglia di mangiare nulla. Mi costringo a ingurgitare due banane, e una me la porto dietro. Commetto una serie di errori tecnici mentre mi vesto: evidentemente sono in trance. Mi scordo di proteggere i miei piedi e dimentico anche la crema anti-sfregamento. Tutto quello che avevo programmato è dimenticato, ma tanto che importa, ho deciso che non la correrò.

Arrivo sul luogo del delitto; sono stremato, vengo colto da un colpo di freddo e comincio a tremare. Incontro Fabio e tento di non pensare alla mia pancia che continua ad essere sconvolta da un vero e proprio “sciame sismico”. Arrivano gli altri, scherzano e ridono, mentre io sono preda della mia inquietudine.
David mi offre una pasticca infallibile. Non vi preoccupate, niente doping è solo un anti-Montezuma particolarmente potente. Lo ingurgito senza chiedere troppi dettagli. Per proteggermi dal freddo mi sono infilato in un sacco verde...sono pronto per essere gettato in un cassonetto.

Il Lungarno si anima e si riempie dei palloncini che verranno portati dai pacemaker, guardo sconsolato quelli viola delle 5 ore.

Mi porto vicino alla gabbia, ma non entro, sono veramente indeciso sul da farsi. Bevo the caldo e cerco di superare quello stato catatonico di cui sono preda. Mi sento un po’ come i cavalli del “Palio di Siena” quando devono schierarsi per “la mossa”. Esce un raggio di sole e comincio a scaldarmi dentro; riacquisto un po’ di fiducia, il calore mi trasferisce energia positiva. Ho deciso: “entro in gabbia”.
Converso con Lino e Fabio e torno a guardare i palloncini viola, stavolta con una certa speranza. E’ fatta, si parte. Il serpentone comincia a muoversi e finalmente si corre.

Montezuma sembra sparito, penso ingenuamente di averlo battuto. Lino è preoccupato per me e continua a rassicurarsi sulle mie condizioni, ma l’eccitazione prende il sopravvento. Arriviamo a Piazza della Libertà, ora sono certo di farcela. L'allegra compagnia comincia ad intonare canzoni di incoraggiamento e io sono più sereno. Non ho voglia di cantare, ma mi distraggo a sentire gli altri e i primi chilometri volano via. Faccio uno strappo alla regola solo quando vedo la Paciotti con i suoi “discreti” scaldamuscoli. Le urlo dietro, prima di superarla.

Siamo alle Cascine e tutto va bene, il clima di allegria mi ha contagiato e poi c’è Lino che non mi molla un attimo. I dolori sono sopportabili e la fiducia continua a crescere. Sogghigno pensando a Montezuma.

Al ristoro del 15’ mi azzardo a mangiare qualcosa…la solita banana. Ne prendo un pezzetto dal tavolo e lo mando giù di fretta. Ma la banana è gelata e sento subito qualcosa di strano. Realizzo l’errore, ma ormai è troppo tardi. I dolori cominciano ad aumentare, prima in modo impercettibile, poi sempre più intensamente. Montezuma mi aspetta al 19’, acquattato di fronte a Palazzo Pitti, mi prende di sorpresa, la fitta è irresistibile. Non ho neanche il tempo di riflettere, vedo un bar e mi ci butto dentro intimando al barista impaurito di mettermi a disposizione il suo bagno.

Sento gracchiare il telefono, è Lino che non mi trova più. Gli dico di andare, di non preoccuparsi di me. In quel momento penso che la mia prima Maratona sia indecorosamente finita nella toilette di un bar fiorentino. Montezuma ha vinto. Esco dal bar ancora piegato in due, ma mi costringo a correre lo stesso; la situazione va lentamente migliorando e quando passo di fronte a Ponte Vecchio sono a posto. L’urlo di sostegno di Maria Rita mi restituisce nuova energia.

Al ristoro prendo 4 bicchieri di the caldo, li riempio di limone e li bevo. Il calore ha un effetto tonico e vado. Ad ogni ristoro ripeterò la stessa procedura, the caldo e limone…la mia ricetta anti Montezuma. Ripenso a tutti i consigli ricevuti: <<Devi alimentarti bene, se no vai a sbattere contro il "MURO”>>. E ricordo che il “MURO” si trova sempre dopo il 30’ chilometro. E quindi considerando che sto andando a the e limone mi metto in attesa di incontrare questo famoso “MURO”, dietro il quale mi aspetto di trovarci Montezuma, con il suo caratteristico ghigno.

I chilometri passano; dal 30’ in poi mi fa compagnia una signora romana, veterana della Maratona fiorentina. Il ritmo è quello giusto e la piacevole conversazione mi distrae. Al 35’ la lascio andare perché io devo ripetere il rito del the e devo fare un’ulteriore sosta tecnica (la terza e anche l'ultima): Montezuma è pronto a colpire ad ogni occasione.

Riparto, sempre in attesa di incontrare questo famoso “MURO”. I chilometri passano e finalmente mi si materializza l’immagine di Ponte Vecchio, uno dei luoghi simbolo di questa Maratona, che ho visualizzato molte volte nella mia mente.

Lì aggancio un ragazzo americano che il “MURO” deve averlo incontrato e deve averci sbattuto addosso con intensità. E’ un po’ confuso, cerca conforto, qualcuno che parli inglese. Mi chiede quanto manca, e me lo chiede proprio davanti al cartello del 39’. Capisco che sta soffrendo. Lo tranquillizzo gli dico che siamo arrivati e continuiamo a conversare. Gli chiedo notizie di lui e poi gli racconto di me, è contento di scoprire che anche per me si tratta della prima Maratona. Riprende fluidità anche se mi chiede di camminare un po’. Lo assecondo e dopo un minuto riprendiamo a correre. Arriva il 40’ e poi il cartello delle 25 miglia, più rassicurante per lui. Ancora un’altra pausa per camminare e ripartiamo alla volta del 41’. Torniamo sul Lungarno, manca veramente poco. Prova a rifermarsi, ma stavolta gli dico di non farlo, siamo veramente arrivati. Lui si rassegna e continua a correre.

Prima di entrare in Piazza Santa Croce penso al “MURO”…ma dove cavolo era questo “MURO”…boh speriamo non mi squalifichino per non averlo incontrato.

Eccola finalmente la piazza agognata, il traguardo sognato tante volte è lì. Sento urlare ancora Maria Rita che corre accanto a me per fotografarmi. Poi sento la voce di Pino: SI' allora siamo arrivati. Quando vedi Pino significa che è veramente finita. Taglio il traguardo felice e neanche così distrutto. Mi giro cercando il volto di Montezuma. Vedo un signore anziano che mi guarda un po’ imbronciato…forse è lui e un ghigno di scherno stavolta compare sul mio volto.

L’abbraccio di Pino e le voci dei miei familiari mi riportano alla realtà. Sì la mia prima Maratona è veramente finita.

Montezuma è sconfitto con solo qualche “sosta tecnica” al suo attivo, mentre io ho 42 chilometri da far valere.

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